Forse mai come in questi mesi la parola “pace” è stata utilizzata così ampiamente. È frutto della richiesta unanime affinché in Ucraina terminino i combattimenti e si torni ad una pacifica convivenza tra tutti.
Va però detto che tale parola solo in apparenza esprime un significato univoco, mentre in effetti può indicare parecchie cose, talvolta anche diverse tra loro.
Di grande aiuto per comprendere la pace che papa Francesco invoca è il suo recente libro Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (Solferino e Libreria Editrice Vaticana, 2022) che raccoglie molti suoi interventi degli ultimi anni di pontificato.
Un punto di partenza e di chiarezza può venirci innanzitutto dal brano del Vangelo di Giovanni che riporta queste testuali parole di Gesù: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. Papa Francesco si è posta la domanda sul tipo di pace che dà il Signore rispetto a quella del mondo in un’omelia del 12 maggio 2020 nella Cappella di Casa Santa Marta e dopo aver spiegato che sono tipi di paci diverse, ha detto: “…la pace che dà Gesù è un’altra cosa. È una pace che ti mette in movimento: non ti isola, ti mette in movimento, ti fa andare dagli altri, crea comunità, crea comunicazione. Quella del mondo è costosa, quella di Gesù è gratuita, è gratis; è un dono del Signore, la pace del Signore. È feconda, ti porta sempre avanti” (p. 122).
Queste parole, pronunziate quando la guerra di oggi non era neppure immaginabile, aiutano a comprendere da dove parte Francesco quando invoca la pace, anche per l’Ucraina. Parla di una pace che è innanzitutto dono, che non è statica e che crea comunità e comunicazione. Ecco un primo motivo per cui non si comprende fino in fondo il suo messaggio. Oggi tutti invocano una pace che sia più simile ad un cessate il fuoco, primo passo certo necessario ma non esaustivo, perché frutto innanzitutto dell’accordo tra gli uomini che come abbiamo visto non è mai duraturo.
Un altro aspetto altrettanto decisivo del pensiero del Papa è riscontrabile in uno dei suoi più importanti discorsi fatti nel 2021 durante il viaggio in Iraq. In un contesto certamente difficile dal punto di vista religioso e sociale, richiamando la figura del Padre Abramo e attraverso lui rivolgendosi a ebrei, cristiani e musulmani, ha invitato tutti a fare come lui: “Guardiamo in ciel e camminiamo sulla terra”. In questo duplice appello è sintetizzato il suo pensiero ampiamente e dettagliatamente espresso nell’Enciclica Fratelli tutti. In quella circostanza affermò: “La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte (…) Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli”. Ecco il secondo mattone della casa della pace che invoca Francesco.
Nel Messaggio per la III Giornata mondiale della pace, del 1° gennaio del 2020 lo spiegò così: “La pace è un edificio da costruirsi continuamente, un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il diritto (…). Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta” (p. 127). A Bangui (Repubblica Centroafricana) il 29 novembre 2015 disse anche: “La pace non è un documento che si firma e rimane lì. La pace si fa tutti i giorni! La pace è un lavoro artigianale, si fa con le mani, si fa con la propria vita” (p. 130).
Ed ecco allora un terzo tassello. La pace che chiede il Papa non sia appena assenza di guerra, non sia fragile perché priva di fondamenta, ma si fondi sulla giustizia. Il richiamo al salmo 84 è immediato: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”. Non tener conto di questo anche mentre i missili piovono sull’Ucraina è velleitario. Questo è compito della politica e dei governanti. Impossibile in questo contesto scegliere l’appello più forte che il Papa sta facendo da mesi ai governanti. Ma anche su questo aspetto il suo non è un appello generico, “buonista”, perché li ha invitati nell’udienza generale del 23 febbraio 2022 a fare “un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra”. Come dire che neppure i governanti sono esonerati dal fare un lavoro sulle loro persone, su come concepiscono e vivono l’esperienza della pace, e ciò travalica i generici appelli alla non belligeranza che giungono da tutte le parti e che proprio per questo non hanno efficacia.
Questo aspetto apre ad un altro più duro e decisivo: la pace viene dalla croce. Nell’omelia tenuta ad Assisi il 4 ottobre del 2013 disse: “San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo passa attraverso l’amore più grande, quello della croce. È la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro. La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo … Anche questo non è francescano … ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi prende su di sé il suo giogo, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore” (pp. 121-22).
Forse in questi giorni sarebbe giusto che ciascuno si interrogasse se la pace che si auspica è “sdolcinata” o se piuttosto si fonda sulla Croce di Cristo. Non è un appello ai cristiani, ma un richiamo a tutti, anche ai governati, per andare alle fondamenta della casa della pace.
E giungiamo all’ultimo tema: il dialogo. Difficile scegliere la citazione più efficace, tra le tante presenti nel libro. Abbiamo scelto quella poco nota del discorso fatto al Congresso mondiale della fondazione pontificia Scholas occurrentes del 29 maggio 2016. “Per costruire un mondo nuovo, un mondo migliore, abbiamo bisogno di sradicare tutti i tipi di crudeltà. La guerra è una crudeltà. Ma questo tipo di guerra è ancora più crudele, perché se la prende con gli innocenti. E poi, ascoltare l’altro. La capacità di ascoltare, non di discutere subito, domandare, e questo è il dialogo, e il dialogo è un ponte … Non avere paura di dialogare … Si tratta di concordare delle proposte per andare avanti insieme. Nel dialogo tutti vincono, nessuno perde. Nella discussione c’è uno che vince e l’altro che perde, o perdono entrambi. Il dialogo è mitezza, è capacità di ascolto, è immettersi nei panni dell’altro, è gettare ponti” (pag. 133).
Il libro nelle quasi 200 pagine offre molti altri spunti di riflessione, innanzitutto personali, per noi che siamo chiamati a costruire la pace non meno che tutti i popoli che in questo momento nel mondo si fanno le guerre.
Chiudiamo con le parole della postfazione di Andrea Tornielli: “Il no alla guerra di Francesco, un no radicale e convinto, come quello pronunciato dai suoi predecessori non ha nulla a che vedere con una posizione di parte né è motivato da calcoli politico-diplomatici. Nella guerra in Ucraina ci sono gli aggressori e ci sono gli aggrediti. C’è chi ha attaccato e chi ha invaso uccidendo civili inermi, mascherando ipocritamente il conflitto sotto il maquillage di una operazione militare speciale; e c’è chi si difende combattendo per la propria terra. Francesco questo l’ha detto più volte con parole chiarissime, condannando l’invasione e il martirio dell’Ucraina. Ciò non vuol dire però benedire l’accelerazione della corsa al riarmo, perché il Papa non è il cappellano dell’Occidente e perché ripete che oggi stare dalla parte giusta della storia significa essere contro la guerra cercando la pace senza lasciare mai nulla d’intentato” (p. 169).
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