Ogni volta che il Papa compie un viaggio commuove vedere uomini, donne, anziani, bambini che gli si stringono attorno, che lo attendono come si attende un padre. Non si sono mai visti e, forse, non si vedranno più, eppure quell’incontro è sufficiente per riscoprirsi figli. Quella della paternità è proprio una delle sfide più grandi che Cristo ha lasciato ai suoi. La possibilità, cioè, di non essere orfani su ciò che conta veramente, di non sentirsi abbandonati sulla sostanza della vita. Ma se il padre si dovesse ritirare?



Prima domenica di settembre. La chiesa è piena, la gente è tornata dalle vacanze. Sale il lettore per la prima lettura. Si avvicina al microfono e inizia: “Dal libro del profeta Geremia”. Forse nessuno si aspetta nulla da un esordio come questo. Libri antichi, quelli dei profeti, spesso complicati, raccontano di un mondo difficile da intuire nelle sue pieghe più autentiche. Tanti mollano e iniziano a pensare ai problemi, alle preoccupazioni, alle ansie, al sospetto di non essere ascoltati fino in fondo nelle loro preghiere, ma a un certo punto il lettore legge queste parole: “Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!’. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.



All’improvviso viene voglia di riandare al pezzo prima. Si scopre così che il profeta sta raccontando di noi. Parla di sé, ma dice di noi. Quasi gli vien voglia di mollare tutto e andarsene. Troppo pesante la missione, deriso per quello che dice, ignorato dai più, Geremia pensa di ritirarsi. Ma non ha ancora fatto i conti con il suo cuore. C’è un fuoco ardente che non può contenere neppure volendo. Quel fuoco è ciò per cui siamo fatti. Ritorna così alla sua vocazione e il popolo può star sicuro che gli scherni non avranno l’ultima parola, che il profeta non deciderà avendo come criterio il consenso.



Geremia fa parte di una schiera di uomini che Dio manda con il contagocce nella storia. In mezzo a molti si distinguono, fra tanti emergono. Hanno due occhi come tutti, ma nessuno guarda come loro. Hanno un volto come l’abbiamo tutti, ma nessuno brilla come il loro. Hanno il cuore come una casa, le mani come un’ancora, il sorriso come un abbraccio. Alla loro tavola non c’è posto per i dialoghi sul nulla. Quando fai una battuta sorridono con ingenuità, ma sono a un altro livello. Presenti tutte le tue obiezioni e fatiche e ti rispondono: “Ma qual è il problema?”. Sono più appassionati della tua libertà di quanto lo sia tu stesso. Questi sono i padri. E ci sono sempre, anche quando non si vedono più.

Me li immagino che ogni tanto, di nascosto e senza farsi sentire, cantino canzoni come questa: “Se un giorno fuggissi ricordami che sono chi mi ero ripromesso di essere. Se mai dimenticassi le notti che ho passato le chitarre e le grida, ricordami chi sono, perché vivo. Ricordami il giorno e l’anno” (ZAZ, Si Jamais J’oublie). C’è un fuoco che arde nelle ossa, incontenibile. Giù le difese: il contagocce di Dio non smette mai. Possiamo non accontentarci dei padroni.

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