Occorre subito una importante premessa. Con la sua ingerenza nelle elezioni dei pontefici l’imperatore Enrico III (1039-1056) era divenuto di fatto il padrone della Chiesa. “Se questa linea di potere imperiale fosse continuata, la libertas ecclesiae avrebbe corso un gravissimo pericolo, la Chiesa avrebbe perduto la sua indipendenza essenziale e tutta la vita religiosa sarebbe stata soggetta alla tutela e al potere statale”, scrive il Franzen nella sua Breve storia della Chiesa.



Da qui la necessità di una riforma. “La libertas ecclesiae divenne lo scopo principale della riforma gregoriana, che si preoccupò soprattutto di liberare la Chiesa dall’indebita ingerenza dei grandi potentati secolari. Il movimento riformista, che prese il nome e l’impronta da Gregorio VII, combatté il modo con cui venivano conferiti da re, principi e nobili i vescovati e le abbazie (investitura laicale) e gli abusi vergognosi che si creavano nella concessione di queste dignità ecclesiastiche (simonia)”, scrive il Franzen.



Ebbene, primo campione di questo movimento di riforma fu papa Leone IX: con i papi tedeschi, eletti da Enrico III, l’idea di riforma si estese al papato e il primo pontefice a lavorare attivamente in questo senso fu proprio Leone IX (1049-1054), che seppe restituire al papato la sua autorità universale.

Morto papa Damaso II (9 agosto 1048) Enrico III a Worms designò Brunone: il quale accettò soltanto a condizione che la sua scelta venisse ratificata dal clero e dal popolo di Roma! Quando arrivò a Roma, volutamente vestito da pellegrino, fu ricevuto alla grande e incoronato il 12 febbraio 1049.



Papa Leone IX, accogliendo in pieno lo spirito della riforma, odiava la simonia, vera piaga della Chiesa di quel tempo: aveva tale grande orrore di questo vizio che avrebbe voluto consacrare di nuovo chi era stato ordinato da vescovi simoniaci; nel suo primo sinodo colpì violentemente la simonia e il clero concubinario. Occorre subito ricordare che tra i suoi più stretti collaboratori, tutte abili personalità, papa Leone IX scelse Umberto, cardinale vescovo di Silva Candida come suo più intimo confidente (praticamente un segretario di stato): vorrei ricordarlo perché Umberto di Silva Candida avrebbe poi avuto un ruolo non secondario nelle vicende che portarono al Grande Scisma d’Oriente.

Scrive Kelly nel Grande Dizionario: “Per dare alla sua politica un respiro più ampio possibile il papa adottò la tattica geniale di fare frequenti viaggi da un capo all’altro dell’Europa”. Secondo una collegata annotazione di Antonio Borrelli, questa idea aveva l’obiettivo di tenere, non solo quindi a Roma, concili, sinodi e assemblee alla presenza dei diretti interessati, avendo così una efficacia maggiore che non se fossero state prese nella lontana Roma. Papa Leone IX usava così il metodo della “presenza”. E qui viene spontaneo un paragone metodologico con papa Giovanni Paolo II.

Con una breve nota ricordo inoltre che, tra le altre cose, papa Leone IX condannò la dottrina di Berengario di Tours (1010-1088) secondo la quale nell’eucarestia il pane e il vino diventavano il corpo e il sangue di Cristo solo simbolicamente ma nella realtà rimanevano ciò che erano: noi oggi dobbiamo la verità anche a questi piccoli grandi passi del cammino della Chiesa!

Veniamo al fatto storicamente più importante del pontificato di Leone IX: il Grande Scisma d’Oriente, la rottura con la Chiesa orientale. Scrive Franzen: “È noto che fin dai primi secoli il pensiero greco-orientale e il pensiero latino-occidentale hanno avuto uno sviluppo diverso. I contrasti erano di ordine liturgico, disciplinare, politico-ecclesiastico”. Ebbene, nel maggio del 1053 il Nostro, per proteggere lo stato pontificio e la sua popolazione dalle scorrerie dei Normanni in Italia meridionale, guidò personalmente contro di essi un esercito. L’esercito del papa venne sconfitto e lo stesso papa venne fatto prigioniero. Il patriarca Michele Cerulario (1043-1058) si indignò per l’ingerenza di Leone nell’Italia meridionale dominata da Bisanzio: il patriarca temeva che il papa potesse usurpare il suo campo di giurisdizione e impedì il riavvicinamento fra la Chiesa di Roma e quella di Bisanzio.

“La chiusura delle chiese latine e dei monasteri latini a Costantinopoli, la rigida condanna dell’uso latino del pane azzimo nella celebrazione della messa, la questione del celibato ecclesiastico, l’introduzione del Filioque nel Credo e altre cose ancora accesero i primi terribili scontri”, scrive Franzen. Da parte sua papa Leone inviò a Costantinopoli il cardinale Umberto di Silva Candida, il suo cancelliere Federico di Lotaringia e l’arcivescovo Pietro d’Amalfi. Accadde lo scontro: da una parte c’erano le pretese della Sede romana, dall’altra un patriarca descritto come “un uomo ambizioso, arrogante e calcolatore”.

Umberto, il 16 luglio 1054, dinanzi al clero e al popolo, depose la bolla di scomunica sull’altare maggiore della chiesa di Santa Sofia. Cerulario rispose il 24 luglio con un contro-anatema. Lo scisma fra la chiesa d’Oriente e quella d’Occidente viene datato convenzionalmente a partire da questi avvenimenti.

Leone morì il 19 aprile 1054 e venne presto venerato come santo, a causa dei numerosi fatti straordinari avvenuti presso la sua tomba. La sua memoria liturgica si celebra il 19 aprile.

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