Siamo nel mezzo delle Paralimpiadi, un evento che porta con sé un fascino sportivo, ma anche sociale, perché i temi dell’inclusione e del bello delle diversità risultano efficaci soprattutto se camminano sulle gambe degli atleti. I loro successi hanno un valore particolare. Per lo sforzo, certo, ma anche perché sono il frutto di chi ci ha creduto, di chi ha lottato sino all’ultimo lasciando senza fiato molti osservatori.



È il caso di Daniele Cassioli, membro della Giunta nazionale del Comitato italiano paralimpico, presidente onorario di Piramis onlus e fondatore dell’associazione Real eyes sport, che, cieco dalla nascita, è riuscito a superare tutti gli ostacoli tra sé e una lunga serie di vittorie che lo hanno reso l’atleta della specialità più premiato di sempre nella storia. Tra i suddetti ostacoli la paura, ad esempio, perché volare con degli sci sull’acqua senza vedere, in più ad alte velocità, comporta evidentemente dei grossi rischi. Daniele non è a Parigi perché tecnicamente lo sci nautico, pur annoverando mondiali ed europei, non è una specialità paralimpica.



Daniele Cassioli, c’è qualche differenza tra queste Paralimpiadi e le altre?

Partiamo dal fatto che ogni edizione dei giochi è unica. Abbiamo di fronte un ricambio di atleti e anche quelli che tornano sono comunque diversi dalle scorse edizioni. Nel caso delle Paralimpiadi poi assistiamo a un movimento che sta crescendo tantissimo in Italia e, in generale, in tutto il resto del mondo. Per gli azzurri si tratta della spedizione con più equilibrio di genere, sintomo che anche nel mondo femminile lo sport per chi ha una disabilità è progressivamente più presente.

C’è una grande partecipazione anche di pubblico.



Sono in Europa, e quindi per il nostro Paese sono più facili da seguire grazie al fuso orario favorevole. Anche la vicinanza geografica favorirà una partecipazione più nutrita di nostri connazionali che, come pubblico, familiari, appassionati o addetti ai lavori, avranno modo di vivere un’esperienza unica, e una volta rientrati potranno portarsi a casa e condividere l’impatto emotivo vissuto in prima persona. Ultimo ma non meno importante: sono gli ultimi giochi prima di Milano-Cortina 2026, e molti professionisti italiani vivono questo periodo come osservatori per portare tra due anni le migliori pratiche anche da noi.

Ma perché le Paralimpiadi nel tempo sono diventate più importanti?

È successo perché, a prescindere dagli aspetti agonistici che hanno e devono avere una significativa importanza, rappresentano la straordinaria possibilità dell’essere umano di “saltar fuori” dalle difficoltà e dagli imprevisti ai quali purtroppo a volte non ci si può sottrarre. Parliamo di un movimento in crescita in cui aumentano i praticanti, segnale che sempre più spesso (anche se ancora tanti ragazzi con disabilità non hanno nemmeno un’opportunità di fare sport) chi vive una difficoltà accetta comunque di mettersi in gioco; aumenta l’interesse dei media, sintomo che gli atleti paralimpici sono sempre più apprezzati e seguiti. Sta piano piano anche crescendo il coinvolgimento di atleti paralimpici in campagne pubblicitarie, eventi istituzionali o aziendali, un altro inequivocabile elemento che testimonia quanto possano essere di ispirazione gli atleti, anche se con disabilità.

Aiutano davvero a cambiare la società o è una vana speranza?

Assolutamente aiutano perché coinvolgono, attirano l’attenzione, seminano cultura. In generale la disabilità deve molto allo sport perché pian piano sta cambiando anche la narrazione della disabilità. Questo però non deve trarci in inganno: c’è ancora tanto da fare, soprattutto per lo sport di base e per garantire davvero a tutte le persone con disabilità della nostra società di poter incontrare un impianto accessibile, una società sportiva formata e sensibile e un circuito di competizioni che possano accogliere i bambini che cominciano o i dilettanti, anche quando hanno una disabilità.

Insomma, possono dare un segnale importante?

Le Paralimpiadi dovrebbero insegnarci la tolleranza, la pazienza e l’accoglienza di ognuno in quanto essere umano; come membri di un sistema, qualsiasi persona può contribuire a rendere la società più inclusiva dove per inclusione si intende la capacità di mettere una persona nella condizione di esprimersi. Se ci pensiamo i giochi paralimpici dimostrano proprio questo: tutti gli atleti sono apprezzati per quanto sanno fare e sono messi nella condizione di potersi esprimere.

Esiste un sistema specifico per individuare gli atleti paralimpici, diverso da quello per gli altri atleti?

Tutto è diverso in questa fase: il movimento paralimpico è più recente e in tante dinamiche si sta ancora definendo. Inoltre, spesso siamo davanti a persone che diventano atleti paralimpici in seguito a incidenti, infezioni o comunque patologie acquisite e quindi è più complesso pescare dal famoso vivaio. In ogni caso, a mio parere, è vero che nel mondo del paralimpismo occorre prima di tutto la conquista di una vittoria sociale. Intendo dire che il primo passo è accettare come si è per poi decidere di fare un pezzettino in più e intraprendere un’attività agonistica.

Pensa che gli atleti paralimpici abbiano le stesse motivazioni rispetto ai colleghi olimpici?

Penso che a prescindere dalle condizioni siamo tutti persone che fortunatamente presentano tantissime differenze innate: avremo atleti più o meno motivati, tenaci, forti, fragili, vincenti o gregari a prescindere dalle condizioni intrinseche.

Vincere le Paralimpiadi ha ricadute nella vita di tutti i giorni secondo lei?

Assolutamente sì! Intanto, grazie all’instancabile lavoro del Comitato Italiano Paralimpico, guidato dal suo presidente Luca Pancalli, gli atleti paralimpici stanno sempre più entrando nei corpi militari dello Stato, al pari dei colleghi olimpici. Un podio poi garantisce un premio medaglia e il sostegno da parte del CIP, in base a un regolamento molto preciso, per i successivi quattro anni di attività. Pertanto, c’è sicuramente una prima ricaduta diretta che deriva da una medaglia paralimpica, garantita dallo Stato. Inoltre, visto il crescente seguito del movimento, è più facile che un atleta possa attrarre sponsor, imprenditori sensibili, organizzazioni che desiderano condividere con i propri dipendenti la testimonianza di un campione paralimpico, l’esposizione mediatica e, di conseguenza, più o meno grande popolarità.

E quanto incide questo ultimo aspetto?

Questo aspetto aiuterà la crescita del “paralimpismo” e può essere inteso anche come grande responsabilità che spesso gli atleti colgono: esistono infatti diverse associazioni fondate o partecipate da agonisti di alto livello che promuovono a vari livelli la pratica sportiva di base. Sentirete spesso nelle interviste post gara in zona mista, gli appelli degli atleti che invitano chi ha una disabilità a uscire di casa e precipitarsi a fare sport. Questo credo sia uno dei segnali più belli e da cogliere.

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