La fiera della genitorialità è andata in piazza a Parigi la settimana scorsa. Una grande operazione di marketing in salsa buonista: si poteva comprare di tutto, gameti, maschili e femminili, embrioni presumibilmente congelati e si poteva stipulare un contratto a regola d’arte per affittare un utero. Il tutto regolarmente certificato con marchio di qualità, anche se a prezzi diversi corrispondevano prodotti diversi. Ma questo moderno mercato di uomini e di donne, anche se in molti casi appena all’inizio della loro esistenza, era giustificato dal desiderio di avere un figlio. Secondo l’antico principio, mai del tutto smentito, che il fine giustifica i mezzi e i modi.
Desiderare un figlio è quanto di più umano ci possa essere, talmente connaturato alla nostra natura da costituire l’unico modo per garantire la continuità di una famiglia, di un popolo, dell’intera razza umana. Viviamo nel tempo e oltre il tempo perché ogni figlio è un ponte con il nostro passato e il nostro futuro. I figli sono la vera garanzia strutturale di un patto intergenerazionale ininterrotto che dura dalla notte dei tempi.
Ma ogni figlio ha diritto a venire il mondo concepito dall’amore di un padre e di una madre che se ne faranno carico finché non sarà diventato pienamente autonomo. E forse allora sarà lui a farsi carico dei suoi genitori.
Ma a Parigi, in questa sorta di fiera delle vanità, le cose sono andate molto diversamente. Ciò che è emerso, al di là di ogni ragionevole dubbio, è che il figlio su misura dei miei desideri, ordinato scegliendone le caratteristiche specifiche e comprato come un oggetto, prezioso quanto si vuole, ma pur sempre un oggetto, questo figlio del desiderio era destinato a vivere per soddisfare i miei desideri.
A Parigi si sono dati appuntamento tre dei mali tipici del nostro tempo. L’individualismo: il figlio è mio e me lo scelgo io; il consumismo: lo voglio e quindi me lo compro; il relativismo: quel che conta è solo ciò che io voglio, quando lo voglio e come lo voglio. Ogni altra argomentazione appare sospesa. Non ci sono leggi biologiche, né criteri educativi, né principi morali. Ogni legge, criterio e valore sono sospesi al mercato dei figli, anzi sono sublimati dal desiderio del figlio.
Perché questo è il paradosso: sto andando a comprare un figlio e non mi interessano l’uomo è la donna che hanno rinunziato ai loro gameti con il loro specifico patrimonio genetico; non mi interessa la donna che affitterà il suo utero per soddisfare il mio desiderio di paternità o maternità. Mi interesso solo io; è a me stesso che subordino il mondo intero con le sue leggi e le sue tradizioni; con la sua esperienza e la sua consapevolezza dei limiti invalicabili della nostra natura. La legge sono io, il figlio è mio e ne faccio quel che voglio.
E dalla “laica” Parigi la fiera dovrebbe spostarsi a Milano nella prossima primavera, probabilmente il 14 maggio, festa internazionale della famiglia. Quella festa che il parlamento italiano non è mai riuscito ad approvare per l’opposizione di molti; probabilmente di quei molti che oggi reclamano la riedizione milanese della Fiera parigina in cui anche la genitorialità è in vendita.
Eppure in Italia c’è una legge, la famosa legge 40 sulla Pma, che proibisce sia la compravendita di gameti che l’utero in affitto. È l’articolo 12, comma 6, che in modo esplicito 17 anni fa ha messo nero su bianco il divieto di stravolgere modi e ritmi dei tempi della nascita, per un rispetto a quella ecologia umana di cui tanto si parla ma poco si pratica.
Rispettare l’uomo, metterlo al centro del nostro sistema sanitario nazionale, del nostro sistema economico, e socio-culturale, significa rispettarne le leggi naturali che lo governano, a cominciare da quelle biologiche. Capovolgere la prospettiva significa rinunciare a quel principio di precauzione che tutela la vita umana fin dall’inizio e abdicare all’etica della responsabilità che dovrebbe renderci tutti garanti del futuro individuale e sociale. Mentre è davvero rischioso l’egocentrismo di chi vuole concentrare tutte le leggi del mondo nel suo desiderio di governare il mondo, sottoponendolo ai suoi desideri. Fin da piccoli abbiamo imparato che l’erba voglio non cresce neppure nel giardino del re… e che se Dio è sempre pronto a perdonarci, non altrettanto è disposta a farlo la natura.
La provocazione forte che viene da Parigi, e che rispediamo direttamente al mittente, è che una volta di più l’uomo vuole mettersi al posto di Dio ed essere lui a creare l’uomo a sua immagine e somiglianza. Ma la storia ci ha già mostrato le molteplici aberrazioni che scaturiscono da questa volontà d’impero, che più che amare, vuole dominare; e se ama, ama di un amore possessivo che non ha nulla di oblativo. Il figlio che ho comprato al mercato di Parigi non può ribellarsi alla mia volontà, alle mie aspettative, alla mia logica educativa, che sarà piuttosto un addestramento che una vera e propria educazione.
A tutto ciò noi diciamo No. Non solo no alla riedizione milanese della fiera, ma no a questa cultura della genitorialità artificiale ed artificiosa; no alla negazione del mistero della vita, che ci sorprende ogni giorno e ci porta a riconoscere il bisogno di essere amati che c’è in ognuno di noi e che in un certo senso coincide anche con il bisogno di essere rispettati, fino in fondo.
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