Avanzare alcune riflessioni sullo stato delle politiche di genere in Italia è importante per misurarne l’effettiva fattibilità, in un arco di tempo che possiamo individuare da qui al 2026. Se ci sarà la capacità di realizzarle. Il Family Act e contemporaneamente il Pnrr sono due documenti “assiomati” in alcuni provvedimenti, come l’Assegno unico familiare e l’Osservatorio e la certificazione di genere, entrambi presenti nella Legge di bilancio 2022 e parte integrante del Pnrr.



Il genere nel Recovery plan compariva come “obiettivo parità di genere” poi traslato trasversalmente, che significa che deve essere presente dappertutto, ma così rischia di perdere di concretezza. Gran parte dei finanziamenti andranno al digitale e all’ambiente, cose importantissime, ma che amplieranno le diseguaglianze, perché allo stato sono più occupazioni “maschili”, perché le donne ancora non prendono alcune specializzazioni. È un problema di socializzazione, di scoraggiamento, di non ricevere sufficienti incentivi.



Bene le politiche per sostenere le ragazze giovani rispetto allo STEM, ma nel frattempo non possiamo non risolvere concretamente questi problemi. Bisogna creare e investire nelle infrastrutture sociali che aumentano il benessere di tutti, ma creano anche domanda di lavoro. Sostenere le libere scelte di fecondità, significa sostenere le famiglie con gli assegni familiari, riconoscere che chi fa figli ha un costo in più e che lo sostiene per la collettività, ma anche sostenere la possibilità delle donne di entrare e restare nel mercato del lavoro, elemento protettivo contro la povertà.

Se il lavoro femminile entra nel circuito del lavoro remunerato, si allarga la base imponibile, più persone possono pagare le tasse, e, quindi, aumentano le risorse del bilancio dello Stato. Nel Pnrr gli interventi mirati alle donne rappresentano solo l’1,6% del totale (3,1 miliardi di euro circa) e si concentrano nelle missioni 4,5; il 18,5% (35,4 miliardi) riguarda misure che “potrebbero” avere riflessi positivi anche indiretti, nella riduzione dei divari, ma per la parte degli interventi del Pnrr (77,0% pari a 153 miliardi) la possibilità di ridurre divari esistenti dipende molto dai dettagli di attuazione come peraltro si legge a pag. 6 del documento diffuso dalla Ragioneria generale dello Stato e Dipartimento del Tesoro dell’Economia delle finanze. 



Nel Pnrr, entrata anche in Legge di Bilancio 2022, si prevede la presentazione al Parlamento di una relazione semestrale che però risulta ancora in via di predisposizione. In tema di inclusione sociale, il Pnrr agisce significativamente in due modalità: investimenti diretti a favorire l’occupazione femminile, con il “fondo impresa donna”, e stanziamenti per gli asili nido e per le scuole dell’infanzia. Sul lavoro ancora molto c’è da fare in termini di progressione di carriera, ma anche nell’organizzazione della società. Si puniscono le donne che lavorano perché viene attribuita solo a loro la responsabilità della cura. Questa è ancora la cosa più pesante, che colpisce diversamente a seconda della classe sociale mancando politiche che sostengano non solo l’occupazione femminile, ma che favoriscano la divisione del lavoro.

Certamente il congedo genitoriale è pagato poco e quindi i padri non lo prendono. Mancano i servizi per la prima infanzia, tutto questo discrimina le donne. Il fatto che si privilegino i trasferimenti monetari, rispetto ai servizi, senza essere neppure troppo efficienti, e frammentati è il problema, così come il fatto anche che si offra poco sostegno al lavoro di cura e in generale alle famiglie sopratutto in cui esistono problemi di disabilità o fragilità. E ancora gli assegni per nucleo familiare, riservati esclusivamente alle famiglie il cui reddito complessivo familiare è per almeno il 70% da reddito da lavoro dipendente è un problema. L’altra grossa fonte di sostegno sono le detrazioni fiscali che però escludono gli incapienti, ovvero coloro che hanno un reddito troppo basso per poterne beneficiare. In questo contesto, è molto importante la riforma dell’Assegno unico per i figli, che comunque presenta alcuni problemi organizzativi già affrontati in Ue e così l’Italia arriva un po’ in affanno.

Ci vogliono una molteplicità di interventi su vari ambiti per ridurre in modo efficace il divario di genere e per completare lo sforzo, saranno necessari congedi parentali meglio distribuiti e un sistema fiscale che non penalizzi il lavoro del “secondo” lavoratore in famiglia.

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