Anni fa, un mio amico prete bergamasco – che per ovvie ragioni di discrezione non nomino – si trovò una sera a bere una birra con quattro amici. Il mese dopo, ogni amico portò qualche altro amico. Per farla breve, nel giro di qualche mese il giro degli amici era arrivato a qualche centinaio di persone. A parlare, intorno a una birra, della vita, della fede, di Gesù. Il quale Gesù, a sua volta, parlava di sé dappertutto: nelle sinagoghe, certo; ma poi nelle strade, nelle case, nei posti dove la gente viveva.
E allora, dov’è il problema, se la pastorale universitaria della Diocesi di Torino ha lanciato il “Pub teologico”, una serie di incontri in birrerie della città con mezza pinta e chiacchierata su Gesù, la vita, la fede? Sì, qualcuno potrebbe storcere il naso, potrebbe pensare che non si mescolano così sacro e profano…
Per motivi più o meno professionali sto rileggendo il Paradiso di Dante, ho appena ripreso i canti XI e XII. Straordinari. Nell’XI san Tommaso, domenicano, recita l’encomio di san Francesco. Nel XII san Bonaventura, francescano, tesse le lodi di san Domenico. Se ci sono stati due ordini rivali, due ordini che se le sono sempre date di santa ragione, che sono sempre stati rivali, che si sono sempre accusati a vicenda di ogni nefandezza, sono stati francescani e domenicani. E Dante, il genio di Dante, che cosa fa? Fa tessere le lodi di Francesco a un domenicano, e quelle di Domenico a un francescano. A dire, a tutti i poveretti che stanno sulla terra: «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,/ per giudicar di lungi mille miglia/ con la veduta corta d’una spanna?» (come chiarirà nel canto XIX).
Oppure, mi torna in mente un pezzo di Aldo Maria Valli sul Foglio di qualche anno fa, “Leggenda del benigno imam che sanò lo scisma cattolico sulla famiglia”, che immagina con ironia amaramente devastante come in un futuro non troppo lontano l’imam di Roma, insediato nell’ex cattedrale di san Pietro trasformata in moschea, metterà fine d’autorità alle liti tra le fazioni ecclesiastiche in tema di famiglia (esattamente come a metà dell’Ottocento il sultano di Costantinopoli dovette intervenire per metter fine alle dispute fra i cristiani delle varie confessioni per il controllo dei Luoghi Santi).
A dire, con l’un esempio e con l’altro, che fra noi poveretti che ancora cerchiamo, come possiamo, di seguire Cristo Gesù, la cosa migliore che possiamo fare è fare il tifo per i tentativi dell’uno e dell’altro. A uno questi sembreranno goffi, all’altro quelli sembreranno anacronistici: e allora? Io credo che Gesù, nella sua infinita misericordia, nella sua infinita magnanimità, faccia il tifo per tutti i tentativi di quelli che fanno il tifo per lui. Ciascuno come può, ciascuno come sa. In sacrestia o in birreria. Prosit.