Parlare potrebbe generare delle “droplets”, ovvero le tanto famigerate goccioline, che resterebbero nell’aria anche un quarto d’ora rischiando di diffondere il contagio da Coronavirus? Ad avanzare dei sospetti su un tema molto dibattuto negli ultimi due mesi è un nuovo studio sulle modalità di trasmissione del Covid-19 che ha preso in esame i consueti meccanismi di conversazione tra due persone e scoperto che in determinati ambienti chiusi le suddette goccioline potrebbero restare nell’aria fino anche a 14 minuti (e per un minimo di almeno 8), diventando un pericoloso fattore di contagio anche per tutte le altre persone che in quell’arco di tempo si trovino a passare per quello stesso ambiente. La suddetta ricerca, pubblicata di recente sul portale di PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA) ha provato a spiegare quale potrebbe essere il modo in cui i malati ma anche le persone con sintomi lievi e gli asintomatici possono contagiare chi sta loro vicino, anche in assenza di contatti diretti e prolungati ma pure con la frequentazione degli stessi luoghi chiusi nel medesimo momento, che si tratti di uffici, ristoranti, bar e altri ambienti in cui il distanziamento sociale è difficoltoso. Ovviamente lo studio è stato realizzato in condizioni di laboratorio che per definizione sono sperimentali quindi l’ipotesi andrebbe replicata sul campo ma anche così la ricerca solleva qualche dubbio in più sul fatto che non possa esplodere una seconda ondata di contagi ora che le misure di distanziamento sociale nella Fase 2 si stanno allentando.



“DROPLETS PRODOTTE PARLANDO RESTANO 14 MINUTI IN ARIA SE…”

Se i risultati di questa nuova ricerca statunitense condotta presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston fossero confermati e si avessero anche conferme empiriche in situazioni reali della permanenza delle “droplets” per circa un quarto d’ora in certi ambienti chiusi quali sarebbero le conseguenze per la quotidianità delle persone che stanno pian piano cominciando a uscire di casa? Innanzitutto, come peraltro da settimane ripetono virologi e immunologi, gli stessi scienziati americani sottolineano che lo studio ribadisce solamente come sia più che utile indossare la mascherina quando si è fuori casa e che il distanziamento sociale, per quanto possibile, rappresenta ancora l’arma vincente per limitare al massimo la diffusione del Coronavirus. Infatti il principale “veicolo” di contagio restano quelle minuscole goccioline che si generano nella respirazione e che, per via della forza di gravità, poi cadono a pochi metri dalla persona che le ha originate, adagiandosi sulle più svariate superfici ma pure su maniglie e altri oggetti di uso comune. Il fatto che secondo lo studio bostoniano alcune goccioline generate mentre si parla possano però permanere nell’aria, creando come una sorta di nuvola, preoccupa dato che in certe situazioni il contagio potrebbe avvenire in maniera più subdola. Ognuno di noi pronunciando due semplici parole emetterebbe circa 2600 “droplets” al secondo e che potenzialmente potrebbero contenere alcuni agenti patogeni come il Covid-19; inoltre è stato scoperto che più si parla ad alta voce e più si producono goccioline grandi e in tal modo in una chiacchierata di circa un minuto il totale di goccioline con agenti patogeni al loro interno (sul totale) sarebbe di circa 1000 con una permanenza nell’aria di quasi 14 minuti.

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