Dal battesimo all’arresto per droga, non deve essere facile per un parroco che ama come fossero suoi i ragazzi della parrocchia di Caivano, vedere quanto quotidianamente avviene senza che lui possa farci nulla: la mattina del 10 maggio nella piazza dello spaccio più grande d’Europa, in provincia di Napoli, è andato in scena un maxi-blitz dei reparti anti-droga con ben 49 arresti e un duro colpo al traffico di stupefacenti.



Difesi da porte blindate e cancelli, sono stati individuati dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna, coordinati dalla Dda, ben 14 punti di vendita della droga: i 49 fermati, riporta l’ANSA, sono ritenute vicine al clan “Sautto-Ciccarelli” e sono indagati a vario titolo per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, reati aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose. In virtù di quanto avvenuto a Caivano, ha voluto scrivere di proprio pugno una lettera al quotidiano Avvenire il parroco di quel quartiere, Don Maurizio Patriciello (già noto per aver combattuto i soprusi e gli scandali nella Terra dei Fuochi), disperato per quanto avvenuto a quelli che chiama “i miei ex ragazzi”.



LA LETTERA DEL PARROCO

«Dietro quei nomi per me ci sono volti, storie conosciuti. Li rivedo piccini nel giorno del loro battesimo, o ragazzini vestiti di bianco per la Prima Comunione. Rivedo i volti – ora distratti, ora seriamente preoccupati – dei loro genitori durante gli incontri; le raccomandazioni che ad essi furono dette, ripetute, gridate: “Salviamo i nostri bambini, la trappola già è pronta per scattare; mettiamoci insieme; nessuno gli vuol bene più di voi”»: così scrive il sacerdote di Caivano, ripercorrendo la storia di molti di quei volti o arrestati o nel pieno del traffico di droga o peggio ancora morti in scontri tra bande. «Anche chi delinque, manda volentieri i figli in chiesa, all’oratorio, ai campi estivi. L’esempio che gli danno a casa, però, è pessimo. Troppi sono gli introiti derivanti dal traffico della droga, troppe le comodità, i lussi che quel denaro consente. Tutto viene messo in conto, anche il carcere, e finanche la propria morte o quella di un familiare», scrive ancora Don Patriciello descrivendo nel dettaglio tutto l’iter di quelle vite segnate fin da piccoli dalla malavita. «Sfidano la legge e chi la rappresenta. Non hanno paura di niente e di nessuno. Vivono in case popolari trasformate in regge. Il quartiere è nelle loro mani. Il commercio della droga va a gonfie vele. I clienti non mancano, al contrario, aumentano di anno in anno. Per mesi, a volte per anni, sembra che lo Stato nei loro confronti abbia alzato bandiera bianca», racconta ancora il parroco descrivendo anche la tristezza e il magone provocato nel vedere l’ennesimo, uguale, esito finale. Don Maurizio però non “molla” e lascia comunque aperta la speranza che una “vita nuova” possa finalmente attrarre quelle vite così segnate: «Alle forze dell’ordine, oggi, va la nostra gratitudine. Ai cittadini la soddisfazione di saperli in galera. Al “loro” parroco, invece, restano l’amarezza, il dolore, i sensi di colpa per non essere stato capace di fare di più e meglio. Per non essere riuscito a liberare tanti suoi ragazzini dalla schiavitù della malavita organizzata. Dal loro parroco, anche attraverso questo scritto, ancora una volta, parte l’invito a cambiare strada. A credere che, nonostante tutto, la speranza in una vita nuova può ancora e sempre germogliare».

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