Padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, nella sua basilica della Natività a Betlemme, parla con Avvenire. “Con molta difficoltà riesco a stare in contatto con la mia gente a Gaza. Una delle poche linee che funziona è quella di padre Youssef anche se spesso ci sono dei black-out. Continuano ad avere fede, speranza nel Signore però tutta la società che vive a Gaza, è veramente disperata”. Le cifre delle vittime hanno raggiunto numeri impressionanti, spaventosi, apocalittici. Tra questi ci sono anche “13mila bambini” come rimarca il sacerdote.”Ieri padre Yousef mi diceva: “Non puoi immaginarti oltre a tutte le fogne esplose, l’odore di spazzatura e l’odore dei corpi tra le macerie a Gaza City, dove ancora ci sono tra 500mila e 700mila persone”. La cosa peggiore però, oltre al quotidiano conteggio delle vittime, è che nessuno sa fino a quando”.



Quando gli chiedono di un’invasione via Rafa, padre Gabriel Romanelli spiega che la sua unica preghiera è per un “cessate il fuoco immediato e permanente”, per poi aggiungere: “Questo sarà un bene per Israele e un bene per la Palestina”. Nella parrocchia della Sacra Famiglia vive gran parte della comunità cristiana di Gaza: “Ci sono due gruppi. Uuno nella chiesa greco ortodossa: sono all’incirca 200 persone. Nella parrocchia cattolica della Sacra famiglia siamo un po’ di meno: alcuni sono partiti, altri appena hanno potuto si sono spostati al sud. In tutto sono rimaste 550 persone, contando i piccoli disabili delle suore di Madre Teresa di Calcutta che sono circa una cinquantina. Stanno male anche se, ringraziando Dio, meglio di altri: anni fa la chiesa fu costruita su una piccola sorgente molto profonda”.



Padre Gabriel Romanelli: “La morte non è l’ultima parola”

Le richieste di Padre Gabriel Romanelli per Gaza sono chiare. “Del cessate il fuoco e della libertà di andarsene, per chi vuole: quella non la danno, nemmeno per i nostri feriti. E poi la farina: abbiamo bisogno di riso e pasta ma da mesi non c’è carne, frutta. Si cucina due, tre volte la settimana, non di più. Poi si arrangiano con qualche cosa…” racconta ad Avvenire. Proprio in occasione della Pasqua la popolazione cattolica di Gaza parteciperà “al Calvario di nostro Signore, pensando a tutte le vittime innocenti da una parte e dall’altra, ai più deboli, ai bambini e alle donne. E pure agli uomini di cui si cancella la vita spesso solo in base a un sospetto. Preghiamo per tutti, per le migliaia di orfani e per tutti coloro che sono privati della libertà, sia gli ostaggi che i prigionieri, perché si arrivi a un cessate il fuoco”.



Un messaggio di fede e di speranza, però, arriva proprio dalle parole del parroco: “Dopo il Venerdì Santo sempre, sempre, sempre ci sarà il Sabato di gloria. Qui in Terra Santa non soltanto abbiamo il Calvario, ma anche la tomba vuota. E lo abbiamo nella stessa chiesa per indicarci che la morte non è l’ultima parola”. La preghiera è l’arma che sta aiutando tutti i palestinesi ad andare avanti: “A volte diciamo che non possiamo fare altro che pregare: ma la preghiera è la prima cosa. Nostro Signore in croce cosa faceva? Pregava. San Giuseppe quando è fuggito da Betlemme fino in Egitto cosa faceva? Pregava in silenzio. Offrire il sacrificio che ciascuno ha nel suo cuore, è fare la parte più importate per arrivare al perdono e alla pace. E poi si deve chiedere ai politici di cercare una soluzione. Sono tre le azioni tangibili per aiutarci. La parte spirituale: pregare. La parte morale: difendere ogni causa giusta. La parte materiale: vivere la carità concreta”.