L’ALLARME DAL PARROCO DI GAZA, PADRE GABRIEL ROMANELLI

«Siamo stanchi ma la tregua è ancora possibile»: parla all’Avvenire padre Gabriel Romanelli, unico parroco cattolico in carica a Gaza e “in esilio forzato” a Gerusalemme dopo l’inizio della guerra in Medio Oriente, ovvero da quel 7 ottobre con gli attacchi di Hamas contro lo Stato di Israele. Da quel giorno il parroco della comunità cristiana di Gaza è rimasto fermato in Israele senza possibilità di raggiungere fisicamente padre Youssef, suo vicario nella Striscia: entrambi vengono chiamati spesso da due mesi a questa parte direttamente da Papa Francesco che non ha mai smesso di dimostrare vicinanza e concreto sostegno alla comunità di 135 cattolici assiepati nella parrocchia tra bombe, razzi e carri armati.



«Siamo 135 cattolici, ma tutta la comunità cristiana, compresi gli ortodossi, è venuta a rifugiarsi in parrocchia, per loro l’unico luogo sicuro. All’inizio, erano 500 persone, oltre ai piccoli handicappati delle suore di madre Teresa, mentre padre Youssef è andato a cercare gli ammalati e gli anziani soli. Sono molto preoccupati, stanchissimi ma hanno una grande fiducia nella Provvidenza: non sopportano più il rumore dei bombardamenti, ancora più intensi dopo la tregua. Non siamo un obiettivo militare, però la struttura è danneggiata»: così padre Romanelli racconta le fasi difficilissime di questa guerra, dove la gravità delle vittime si unisce alla mancanza di speranza quotidiana. Dal generatore che non funziona, la pompa dell’acqua bloccata fino al dramma di dover cucinare solo tre volte alla settimana per poter dividere quel poco che si ha con bambini e famiglie dell’area. «La cosa peggiore è l’ansia, non sapere fino a quando durerà tutto questo. La tregua passata ha provocato un alito di speranza che il peggio fosse passato, ma chi è uscito dopo un mese e mezzo ha trovato la casa distrutta o inagibile»: secondo il parroco di Gaza, che pure ha vissuto tante altre guerre nella Striscia, il conflitto esploso lo scorso 7 ottobre sembra davvero il peggiore mai visto in quelle aree già tormentate e disastrate.



TREGUA E PACE, COSA PUÒ FARE LA CHIESA DAVANTI ALLA TRAGEDIA

Padre Romanelli prova a raccontare nel dettaglio cosa manca a Gaza e l’elenco è inquietante: «Fuori dalla parrocchia intanto manca tutto: le persone sono per strada affamate. La maggior parte è andata a Sud, alcuni sono già ritornati: a Gaza City rimangono 300-400mila persone». La gente presso la parrocchia, racconta il sacerdote, non vive d’odio o vendetta, piuttosto «chiedono disperatamente la pace, un cessate il fuoco, la fine delle morti e delle distruzioni». Assistere poveri e disabili è sempre più difficile ma si fa quello che si riesce, seguendo l’esempio delle comunità cristiane primitive: «si distribuisce quello che si ha, e si dà di più a chi ha più bisogno. Ci siamo organizzati in comitati per il cibo, l’acqua, la sicurezza. Quotidianamente ci sono due Messe e durante il giorno diversi gruppi recitano il rosario e poi si dedicano ai vari servizi».



Il parroco di Gaza si dice d’accordo sul fatto che Israele abbia il sacrosanto diritto alla difesa dopo quanto avvenuto con Hamas, di contro però aggiunge «pure per difendersi ci sono delle nome. Noi siamo contro ogni sorta di violenza: il 7 ottobre è stato terribile, un orribile crimine, 30 o 31 bambini uccisi oltre a quelli sequestrati. Terribile, e vale per qualsiasi bambino ucciso: ebreo, musulmano, druso». Allo stesso tempo però nella Striscia di Gaza, aggiunge padre Romanelli, ci sono più di «7.700 i bambini uccisi e il numero sale. In questo momento è molto difficile discutere, se trovi due persone che litigano per strada, che tu sappia o no la motivazione, cerchi di fermarli: è il momento dello stop, del cessate il fuoco».

Difficile se non quasi impossibile vivere appieno la fede e la gioia di Cristo davanti all’inferno della guerra, eppure il parroco di Gaza non sembra aver perso la speranza: «La fede non ci toglie la sofferenza, forse dandole un senso la fa diminuire: ma sappiamo che la sofferenza è limitata, che il male ha pure un limite come lo ha il buio della storia umana. Da Dio viene la salvezza, viene la luce: l’Incarnazione è appunto l’ingresso di Dio nella storia dell’umanità». I pochissimi cristiani ancora presenti nella Striscia testimoniano la possibilità che una tregua, un accordo, possa ancora essere trovato. «Il primo passo, penso sia il fermarsi delle ostilità. E poi la possibilità di aiuto umanitario vero in tutta la Striscia, pure al Nord. […] poi penso si debba proseguire negli scambi tra ostaggi e prigionieri perché possono riconciliare le famiglie, un quartiere: quello è un segno di speranza. Uno stop nei combattimenti, non sarà la soluzione, ma può essere come il ramoscello di ulivo nel becco della colomba». Per la pace, con Israele e con i palestinesi, questo resta l’augurio del parroco Romanelli davanti al Santo Natale di Gesù che si avvicina nel momento forse più buio della storia della Palestina.