Non è esagerato scomodare Stephen King – scrittore e autore di romanzi horror come A volte ritornano – per parlare di quello che è successo in Senato in occasione della conversione del Dl fiscale allegato alla legge di Bilancio 2022.

Infatti ci è presa paura! Pensavamo ad un regalo da parte delle istituzioni in occasione della giornata del volontariato celebrata il 5 dicembre, e invece lo scorso 3 dicembre è stato approvato (su iniziativa di alcuni senatori e con l’ok del ministero dell’Economia) un emendamento (il n. 5118 – testo 2) che obbligherebbe dal 2022 le associazioni non profit a dotarsi di una partita Iva anche se non svolgono attività commerciali.



L’art. 5 dell’emendamento dai commi 15-bis al 15-quater, in sostanza, prevede un passaggio da un regime di esclusione ad uno di esenzione Iva per servizi prestati ed i beni ceduti da associazioni ed enti del terzo settore ai propri soci. Per molti un mero tecnicismo, innocuo. E invece no! Il passaggio dall’esclusione Iva all’esenzione Iva significa comunque un aggravio di adempimenti e quindi costi.



Negli ultimi anni assistiamo sempre più spesso a vari tentativi di questo tipo, più o meno palesi, di inserire ulteriori norme a danno del terzo settore: qualcuno si ricorderà che qualcosa di simile era successo a fine 2020 in occasione dell’approvazione della legge di Bilancio 2021.

L’emendamento, al comma 15-bis, apporta una serie di modificazioni al D.P.R. n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell’Iva).

Di seguito il testo.

a) si propone di modificare l’articolo 4 (Esercizio di imprese) come segue:

1. si mira a ricomprendere tra le cessioni effettuate nell’esercizio di imprese le cessioni di beni e le prestazioni di servizi nell’esercizio di attività commerciali o agricole ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto anche quelle prestazioni (escluse dal testo vigente dell’articolo 4, comma 4, del D.P.R. n. 633 del 1972) effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, […], nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;



2. si mira a considerare in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, agli effetti delle disposizioni sull’esercizio di imprese di cui all’articolo 4 del D.P.R. n. 633 del 1972, anche le cessioni di pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati, nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle Assemblee nazionali e regionali. Ai sensi del testo vigente dell’articolo 4, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, tali cessioni di pubblicazioni e beni e servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche non sono considerate attività commerciali;

3. per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge n. 287 del 1991 (si tratta di mense aziendali e spacci annessi ai circoli cooperativi ed enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’interno), le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, si mira a considerare commerciale, anche se effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempreché tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti dei soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Inoltre, si intende far considerare fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto venire meno di associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria, anche in assenza dei due requisiti (riguardanti la disciplina del rapporto associativo e delle modalità di associazione, nonché le caratteristiche degli organi amministrativi e societari) richiesti dalla legislazione vigente (articolo 4, comma 7, lettere c) ed e), del D.P.R: n. 633 del 1972);

b) si propone di inserire all’articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, dopo il comma terzo, due commi in base ai quali:

l’esenzione dall’Iva prevista dall’articolo 10 (Operazioni esenti dall’imposta) si applica inoltre alle seguenti operazioni, a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’Iva:

1) le prestazioni di servizi e le cessioni di beni ad esse strettamente connesse effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari fissati in conformità dello statuto, in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, nei confronti di soci, associati o partecipanti, di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;

2) le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese da associazioni sportive dilettantistiche alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica ovvero nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali;

3) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dagli enti e dagli organismi di cui al numero 1 del presente comma, organizzate a loro esclusivo profitto;

4) la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti di indigenti dalle associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge n. 287 del 1991 (si tratta di mense aziendali e spacci annessi ai circoli cooperativi ed enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’interno), le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, sempreché tale attività di somministrazione sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività. […]”

È sempre la stessa storia: in nome del rispetto dei principi della concorrenza e degli obblighi imposti da Bruxelles (“ce lo impone l’Europa”) si vogliono introdurre appesantimenti di ogni tipo sul terzo settore. Stiamo parlando di un mondo che comprende oltre 330mila enti che coinvolgono oltre 5,5 milioni di volontari e quasi 800mila dipendenti. Incalcolabile il ritorno in termini economici (quindi sul Pil): il sistema di calcolo della ricchezza di una nazione non tiene ancora conto, ad esempio, dell’apporto gratuito dei volontari.

Evidentemente neppure questi pochi numeri sono conosciuti dagli estensori dell’emendamento in questione, perché, se lo fossero, avrebbero pensato che siamo in mezzo ad una riforma (del Terzo settore!) ancora non compiuta. È dal 2017 che il volontariato, le associazioni di promozione sociale, ecc. stanno aspettando che lo Stato italiano presenti la richiesta di autorizzazione all’Ue  per i nuovi regimi fiscali previsti dalla riforma.

Fu il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno 2018 a dire, sul terzo settore: “si tratta di realtà che hanno ben chiara la pari dignità di ogni persona e che meritano maggiore sostegno da parte delle istituzioni, anche perché, sovente, suppliscono a lacune o a ritardi dello Stato negli interventi in aiuto dei più deboli, degli emarginati, di anziani soli, di famiglie in difficoltà, di senzatetto” e “anche per questo vanno evitate ‘tasse sulla bontà’. È l’immagine dell’Italia positiva, che deve prevalere”.

Il Presidente si riferiva chiaramente, in quell’occasione, alla norma contenuta nella legge di Bilancio 2019 che prevedeva l’eliminazione dell’agevolazione Ires al 12%, portandola al 24% per gli enti non profit.

Parole che, probabilmente, gli estensori dell’emendamento in questione si sono  dimenticati.

Il non profit non solo non è più un “terzo settore” inteso in senso residuale rispetto allo Stato, ma è volano di sviluppo e perno di una nuova idea di sviluppo e società: oggi e domani ancora più necessaria per uscire dall’emergenza in cui ci troviamo. Nuovi paradigmi di sviluppo basati su solidarietà, gratuità, economia circolare, sostegno a distanza, lotta alla povertà e agli sprechi alimentari e inclusione sociale.

Tutti obiettivi che evidentemente sarebbe meno arduo raggiungere se le istituzioni facessero la loro parte. Razionalizzare e semplificare ad esempio le norme sul terzo settore: in questo l’attuale riforma sta contribuendo molto a fare chiarezza, ma mancano ancora molti tasselli per concludere il puzzle. Riforma che viene dimenticata dagli estensori dell’emendamento, mancando un coordinamento con essa.

Non resta che sperare che alla Camera i deputati rivedano questo maxi emendamento eliminando queste norme fiscali. Il tutto prima del 20 dicembre, come un gradito regalo di Natale per tutti quegli italiani che fanno della gratuità la dimensione della propria vita.

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