Un recente studio sul parto indotto, condotto dall’Università del Michigan, si è inserito nell’ormai ampia e diffusa discussione sul fatto che la pratica riduca o meno il rischio di incorrere in un taglio cesareo. Da tempo, infatti, si cerca di capire se indurre il travaglio poco prima del suo naturale corso sia o meno positivo tanto per la donna, quanto per il neonato, e sembra che le opinioni degli esperti mondiali siano piuttosto discordanti tra loro. Lo studio, condotto da Elizabeth Langen e pubblicato sull’American Journal of Perinatology, ha evidenziato che il parto indotto non diminuirebbe effettivamente il ricorso al cesareo, ottenendo anche l’effetto opposto in alcuni casi.
Lo studio sul parto indotto e il cesareo
Insomma, a differenza di quanto sembra si sia supposto fino a questo momento, il parto indotto non avrebbe un’effettiva correlazione con il ricorso al cesareo. Lo studio è stato condotto su un campione di 14.135 gravidanze a basso rischio, raccolte in un registro collaborativo chiamato Obstetrics Initiative, che comprende 74 ospedali neonatali e centri per la riduzione dei tassi di natalità cesarea, ed è riuscito a dare una prima immagine, forse ancora da indagare, sul fenomeno.
Dai risultati dello studio, infatti, si è riusciti a sovvertire i risultati di un trial secondo il quale indurre il parto alla 39esima settimana, nelle gravidanze a basso rischio, aveva comportato una diminuzione dei ricordi al cesareo rispetto ai normali travagli. Del campione, in particolare, 1.558 donne erano ricorse all’induzione del travaglio, mentre le restanti 12.577 avevano atteso il normale percorso naturale del parto. È emerso come il 30% delle donne che avevano scelto l’induzione, era dovuta anche ricorrere al cesareo, contro il 24% del campione che aveva scelto il travaglio naturale. Similmente, il 10% del primo pool era andato incontro ad emorragie post partum, rispetto all’8% delle donne che avevano, invece, scelto per il travaglio naturale non indotto.