Tre imbarcazioni armate della Guardia rivoluzionaria islamica iraniana hanno tentato di sequestrare la petroliera britannica Heritage che stava attraversando lo Stretto di Hormuz. La reazione britannica sembra sia stata rapida: la fregata Hms Montrose della marina britannica, che stava scortando la petroliera, avrebbe intimato ai pasdaran di lasciarla transitare, secondo quanto riferito dalle autorità britanniche



Questo episodio costituisce la reazione iraniana alla vicenda dei 30 militari britannici del 42° Commando dei Royal Marines che hanno assaltato la petroliera iraniana Grace 1 mentre attraversava lo Stretto di Gibilterra, bloccando i 27 membri dell’equipaggio a bordo. Le ragioni di questa azione era stata esplicitata da Fabian Picardo, governatore di Gibilterra, secondo il quale la nave stava trasportando greggio alla raffineria di Banyas, in Siria, violando le sanzioni poste dall’Unione europea al governo siriano di Bashar Assad.



L’Iran, al contrario, secondo quanto detto in particolare dal viceministro degli Esteri, Abbas Araghchi, aveva dichiarato che la destinazione della petroliera iraniana non era la Siria, poiché il porto indicato non ha la capacità per poter consentire a una petroliera di queste dimensioni di poter attraccare. Inoltre – aveva precisato lo stesso viceministro – stava attraversando acque internazionali passando per lo Stretto di Gibilterra e non esiste una legge che consenta all’Inghilterra di fermare la petroliera.

Ora, al di là delle dichiarazioni ufficiali, è difficile negare l’inusuale coincidenza tra il tentato sequestro della petroliera inglese da parte dei pasdaran e quello attuato dai Royal Marines nei confronti della petroliera iraniana. Episodi che sono anche l’esito dell’abbattimento, avvenuto il 20 giugno, da parte dell’Iran di un drone statunitense.



Sotto il profilo geopolitico, è necessario fare due considerazioni .La prima: le vie di passaggio sono evidentemente punti nevralgici e particolarmente importanti per chi vuole detenere o raggiungere il dominio marittimo: nel Mediterraneo sono lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez; tra il Mediterraneo e l’oceano Indiano lo stretto di Bab-el-Mandeb; tra l’oceano Indiano e l’oceano Pacifico gli stretti di Malacca, Sunda, Singapore, Lonbok, Macassar, Torres. Ebbene, lo stretto di Hormuz rientra fra le porte di accesso ai mari chiusi come gli stretti turchi (Dardanelli, mare di Marmara e Bosforo) e le varie entrate al Mare del Giappone (stretti di Tartaria, Tsugaru, Tsushima e Shiminoseki): controllarlo consente non solo di avere il libero uso dello stesso, ma anche di poterlo interdire ai propri avversari.

Venendo, ora, alla seconda considerazione, lo stretto di Hormuz costituisce la principale arteria petrolifera mondiale. Attraverso di esso, infatti, transitano le esportazioni petrolifere di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Iraq, Bahrein e Qaatar, l’80% delle quali è diretto verso i mercati asiatici. In altri termini, un quinto delle forniture petrolifere mondiali passa per lo stretto di Hormuz e quindi la minaccia iraniana – avanzata recentemente anche dal generale Mohammad Bagheri – di una chiusura dello stretto rappresenta un possibile, serio, scenario.
Sotto il profilo politico, è altrettanto evidente che anche l’episodio del tentato sequestro della petroliera britannica contribuisce a inasprire i rapporti tra Iran e Ue, legittimando così le scelte di Israele e dell’amministrazione Trump.