La morte di Pier Paolo Pasolini sarebbe legata al furto delle pellicole originali di alcune scene del suo film Salò e le 120 giornate di Sodoma, che era ancora in produzione: lo scrittore e regista sarebbe andato all’Idroscalo di Ostia, dove poi è stato ucciso, proprio per riuscire a recuperarle. È l’ipotesi che emerge dalla relazione finale della Commissione parlamentare Antimafia della scorsa legislatura, resa nota ieri. Non è un’ipotesi nuova: il caso del furto di alcune delle 24 bobine dell’ultimo tragico film di Pasolini è un caso pieno di misteri. Il film uscì poche settimane dopo la morte del poeta nel gennaio 1976: per il montaggio furono usati quindi i “doppi”, cioè le stesse scene, girate però da una inquadratura diversa. Venne subito sequestrato e potè uscire solo due anni dopo, ovviamente vietato ai minori di 18 anni.
C’entra il film e il furto delle pellicole con l’omicidio di Pasolini? È difficile arrivare ad una conclusione. Quello che è certo è che la morte di Pasolini rappresenta un buco nero nella recente storia italiana. Per tanto tempo ha tenuto banco l’ipotesi del delitto legato a fatti di sesso, con tanto di colpevole, Pino Pelosi. Oggi si sa con certezza che le cose erano andate diversamente. E che Pasolini con la morte aveva pagato un prezzo legato alle sue opere. “Siamo tutti in pericolo” aveva detto il giorno prima nella celebre ultima intervista a Furio Colombo. Si sentiva braccato, non solo per vicende personali, ma si sentiva braccato dalla storia. Avvertiva che i suoi giudizi avevano qualcosa di intollerabile per il potere e che quindi il cerchio si stava stringendo. Pasolini rappresentava ormai un punto di scandalo non metabolizzabile. Giovanni Testori, dopo aver visto Salò in anteprima e aver contestato la decisione della censura, coglieva in un articolo sul Corriere il punto dello scandalo. Salò era “un requiem steso senza veli e senza pietà, sul nome e sul significato del sesso… sulle sue distorte e inservibili follie”. Per questo, concludeva Testori, era un film antipornografico.
Come con Petrolio, l’ultimo romanzo rimasto non concluso (ma a cui la morte di Pasolini ha dato in un certo senso una muta conclusione), così per Salò erano previsti quattro finali diversi. Situazioni emblematiche che ci dicono come Paolini sia un caso aperto, prima ancora che sul piano giudiziario, sul piano della coscienza. Anche se trovassimo più certezze sul come andarono davvero le cose quella notte al Lido di Ostia, le cose nella sostanza non cambierebbero. Pasolini resta uno scandalo per l’inesorabile sincerità dei suoi giudizi. Come aveva scritto in Crocefissione, una poesia de L’usignolo della chiesa cattolica, “bisogna esporsi (questo insegna/ il povero Cristo inchiodato?),/ la chiarezza del cuore è degna/ di ogni scherno, di ogni peccato/ di ogni più nuda passione”.
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