Quanto abbiamo bisogno della Pasqua! Se cerchiamo l’ennesimo tranquillante per una felicità individuale resteremmo delusi! Per arrivare al primo giorno dopo il sabato dobbiamo affrontare il male, svegliarci da quel sonnambulismo che rende tutto attutito e ci fa credere di potere essere spettatori, senza responsabilità. Abbiamo bisogno di luce, di vita vera, ne abbiamo bisogno come chi è sprofondato nelle tenebre e non vede. Abbiamo bisogno di vita come chi si misura con il male e la morte, come un condannato a morte che aspetta qualcuno che gridi: “Grazia! È arrivata la grazia, puoi uscire!”.
Sperimentiamo tutti il nostro limite, quello personale, limite fisico degli anni e delle energie che finiscono, limite tra le nostre attese e le realizzazioni, tra i desideri e le risposte, tra i frutti che vogliamo vedere e le incertezze e le delusioni per cui tutto sembra vano. La Pasqua ci aiuta a capire dove siamo nella lotta con il male che passa nel nostro cuore e a scegliere cosa fare, perché è proprio vero quanto afferma il Manzoni, che “si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”. E l’ossessione di stare bene a tutti i costi allontana dalla felicità, che è sempre insieme ad altri, non isolata. E Pasqua è la vita che rinasce e la morte che ci attende non è più la morte, ma la soglia per entrare nella vita eterna. E questa inizia nella nostra vita, in quello che non finisce.
La Pasqua, portandoci al limite ultimo della vita, ci aiuta a capire cosa resta di noi, su cosa investire, cosa dona significato, senso, futuro alla nostra vita da mendicanti, della quale misuriamo il limite, la fragilità.
La nostra generazione ha una grande paura del futuro e cancella la morte. Siamo diventati vecchi, tutti. Rischiamo di farlo diventare anche i giovani, che riempiamo di fragilità e di precariato, sui quali pesa una generazione ingombrante, che ha consumato tanto e donato poco perché ha reso la speranza benessere individuale. Il progresso oggi spaventa ed era invece qualcosa di sicuro, verso il quale andava l’umanità che finalmente aveva capito l’abisso della guerra, l’orrore della violenza, che conquistava la luna e avrebbe garantito la pace e qualcosa di nuovo. Oggi abbiamo paura di non riuscire a conservare quello che abbiamo già. E non ne siamo sicuri, perché come avviene quando si è vecchi, se accade qualcosa sappiamo che difficilmente torniamo ad essere quello che eravamo.
La Pasqua ci apre alla speranza, non all’illusione, perché ci fa entrare nella vita così com’è, nel combattimento con la cattiveria spietata del male, quella che vediamo diventare un sistema di morte con la guerra. Per questo la Pasqua ci rende consapevoli, non tristi, anzi è luce per trovare risposte a tante amarezze, malinconie, nostalgie che ci portiamo dentro e riaffiorano nonostante la bulimia del “fare, fare e poi vai via”. Non stiamo bene, accumulando senza sapere perché e per chi, finendo per conservare quello che abbiamo oggi.
Abbiamo bisogno della Pasqua perché ci dobbiamo confrontare con un terribile venerdì santo, nel quale si rivelano tutti i semi di male che accompagnano la nostra vita. Anzitutto le guerre, ma anche l’odio, l’ipocrisia, la corruzione, la logica del potere, la pavidità di Pilato, il tradimento dei discepoli che salvano sé stessi, la stupidità della folla che uccide il suo Salvatore, l’inutilità del dolore di una madre i cui sentimenti non contano in un mondo che non si commuove e non si ferma davanti al suo pianto. Il male scatena l’istinto del male, il lupo rende lupi e poi si rivela in maniera inaspettata e sorprendente, insediandosi nella ferita dell’anima e nella fragilità della psiche. La logica del male trascina nella tentazione di rispondere al male con il male, di usare le sue stesse armi, fa credere che sia irreparabile, di stimare che sia più forte tanto che l’unica possibilità è – forse – contenerlo. Il male spegne la vita ma anche la speranza, cioè fa credere che sia inutile o impossibile combatterlo. Quando non si ha speranza si sopravvive, si cerca solo quello che conviene nell’immediato, ci si conserva e sappiamo che questo vuol dire che la vita finisce.
La Pasqua arriva solo dopo aver gettato il seme della nostra vita, perché questo è il segreto per vivere bene. È la nostra fede nella vita del cielo, quella che se manca rende quella della terra una condanna. Ma affidarsi a quella del cielo ci fa vivere bene sulla terra! L’amore della Pasqua ripara tutto, tanto che le ferite della croce diventano motivo di speranza, piene di luce. Il male rovina, ma l’amore aggiusta. Amore, non qualche surrogato a poco prezzo. Ecco la Pasqua. Lo abbiamo dentro, questo amore. Gesù ce lo fa scoprire, accende in noi la fede, ci libera dalla paura di donare. Canetti diceva: “Alla situazione che ha poi reso la guerra davvero inevitabile si è arrivati per mezzo di parole, parole su parole usate a sproposito. Se così grande è il potere delle parole, perché esse non dovrebbero essere in grado di impedire la guerra?”. È il Vangelo della Pasqua che dobbiamo portare, con il quale accendere i cuori, liberare dalla solitudine, disarmare le mani degli uomini tanto che depongano le armi e diventino strumento di aiuto e tenerezza. È risorto, non muore più! La vita cambia, tutto può cambiare, risorgere. È la forza dell’amore che ha vinto la morte e rende nuovo ciò che è vecchio. Ci dà la sua pace, Gesù. È questa, quella della Pasqua.
Come diceva san Serafino: “Conquista la pace interiore e una moltitudine troverà la salvezza presso di te”. La luce della notte di Pasqua, quella che accende il nostro cuore e che cresce donandola, ci renda testimoni luminosi di speranza nel buio fitto dei nostri giorni. Nel seme ci sono già i frutti.
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