“Sa che cosa dico? Mi capisca bene: qua ci sono muri contro muri, occorrerebbe un terremoto molto potente che li faccia cadere, un terremoto politico che faccia cadere tutte le barriere e tutti i muri che mettono gli uni contro gli altri”. La Siria è devastata da una lunghissima guerra, ancora non del tutto conclusa, e da un sisma che ha distrutto molti edifici che non erano ancora stati danneggiati dalle bombe.
Eppure il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, invoca un altro “terremoto”: niente che possa aggravare la situazione materiale di una terra martoriata all’eccesso, ma qualcosa che faccia cadere tutte le resistenze e le contrapposizioni che finora hanno portato alla devastazione del Paese. Un cambiamento radicale che permetta di pensare alla ricostruzione e al modo di dare un futuro alla Siria.
Cardinale, come viene vissuta la Pasqua quest’anno in Siria?
Ci sono come tutti gli anni i riti della passione, della morte e della resurrezione del Signore. Ciascuna Chiesa orientale ha dei propri riti molto belli, ai quali la gente partecipa molto. Devo dire, però, che nelle chiese ci sono sempre più vuoti, perché soprattutto i giovani e tante famiglie continuano a emigrare. In Siria cadono meno bombe, ci sono scontri in alcune zone, nel Nord Ovest, nel Nord Est. Sono cessate un po’ le bombe ma ce n’è una che non fa chiasso, ma fa strage, ed è quella della povertà che colpisce più del 90% della gente, perché non c’è lavoro, non c’è ripresa economica, dopo 12 anni di guerra che continua, anche se ridotta, in alcune zone. E non c’è la ricostruzione.
Qual è lo stato d’animo della gente?
Ho celebrato qui anche il Natale ed è stato uno dei Natali più dolorosi: la gente ha perso un po’ la speranza, i giovani soprattutto perché non vedono un futuro, un lavoro e l’unica strada che vedono è quella dell’emigrazione. Dovunque incontro giovani mi chiedono come fare a lasciare la Siria. Ho celebrato la Pasqua e anche la Pasqua è stata come il Natale, un po’ triste, perché oltre alle macerie di dodici anni di guerra, che si vedono dappertutto, che colpiscono, ci sono anche le macerie del recente terremoto di un paio di mesi fa, soprattutto al Nord.
Quanto pesa la presenza degli sfollati?
Al mezzo milione di vittime della guerra si sono aggiunte altre vittime, per il terremoto si sono aggiunti oltre 200mila nuovi sfollati interni ai circa 7 milioni di sfollati per la guerra. Chi ha potuto è rientrato in casa propria, perché non tutte le abitazioni hanno avuto danni irreparabili, ma tante case non sono abitabili. In Siria c’è il più alto numero di sfollati interni del mondo.
Gli aiuti internazionali?
Le Nazioni Unite hanno cercato di aumentare gli aiuti, hanno aperto anche due frontiere dal Nord, dalla Turchia, però gli aiuti sono sempre insufficienti. Sono arrivati da tante parti, dai cristiani di tutto il mondo, dalla Chiesa cattolica.
Insomma molta gente vive nella povertà, non ha casa e neanche lavoro.
Di fronte alle rovine di dodici anni di guerra, perché non c’è ancora ricostruzione, e a quelle del terremoto, penso che si è fatto di tutto per tirare fuori le vittime del sisma, cercando chi era ancora in vita. Però, con altri occhi, io vedo sepolta sotto queste rovine la speranza di tanta gente, la speranza dei giovani. Forse è morta o sta morendo. Questo è quello che si vede: sta morendo la speranza di tanta gente.
Che cosa si può fare?
Alla mia gente dirò che è arrivata una buona ondata di solidarietà, anche commovente. Ho visto tanta solidarietà dall’Italia e da tutto il mondo, anche se non è sufficiente. L’unica risposta da dare a queste persone, che si chiedono perché sono state colpite da dodici anni di guerra e poi dal terremoto è la solidarietà, cercando di aiutarli.
La Pasqua come festa dovrebbe riaccendere la speranza.
La vera Pasqua, con gioia, speranza, armonia, attendiamo di celebrarla da dodici anni. Si è celebrata prima sotto le bombe, adesso sotto la bomba della povertà e sotto le macerie del terremoto: è una Pasqua un po’ a metà, si vive più che altro ancora la Quaresima e la settimana di Passione.
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