A Gaza si muore di fame in tre modi: perché manca il cibo, perché si può perdere la vita mentre si va a recuperare i viveri portati con i camion, o perché si annega nel tentativo di prendere quelli paracadutati in mare. Si viene calpestati dalla ressa, feriti a morte da un proiettile o si annega in mezzo alle onde. La tragedia palestinese è anche questa: si rischia l’esistenza per avere un tozzo di pane. Vivere la Pasqua a Gerusalemme, racconta Padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, significa farsi carico anche di queste sofferenze, in particolare quelle dei bambini.
La festa per eccellenza della speranza, che fa memoria della Resurrezione, quest’anno ha subito delle limitazioni già in Quaresima: è stato contingentato l’accesso a Gerusalemme dei fedeli cristiani palestinesi provenienti dalla Cisgiordania. Le celebrazioni sono state per pochi. Un segnale di speranza, comunque, viene dalle 160 persone che, grazie anche alla Custodia di Terra Santa, sono venute in Italia per garantire le cure a un gruppo di bambini, rinati dopo le attenzioni del personale sanitario, ora desiderosi di riabbracciare le loro famiglie, che almeno in parte sono rimaste a Gaza.
La guerra quest’anno ha segnato anche la celebrazione della Quaresima: quali restrizioni sono state imposte dalle autorità e come è stata vissuta la Settimana Santa?
Ogni anno vengono concessi permessi ai cristiani palestinesi della Cisgiordania per poter partecipare alle celebrazioni pasquali a Gerusalemme. Quest’anno, ne sono stati concessi pochissimi e solo per coloro che hanno più di 45 anni. Queste limitazioni, insieme alla mancanza di pellegrini, hanno reso meno gioiosa la processione della domenica delle Palme. Abbiamo percorso la strada partendo da Betfage con pochi appartenenti alla comunità parrocchiale di Gerusalemme, le religiose e i religiosi, i molti lavoratori stranieri che vivono in Israele. Abbiamo camminato, pregando e cantando per osannare Gesù e il suo ingresso a Gerusalemme, ma con l’animo e il pensiero rivolti alle sofferenze provocate dalla guerra.
Come vive la gente le limitazioni che impediscono la partecipazione alle celebrazioni?
La Terra Santa sta vivendo da quasi sei mesi una situazione di guerra mai vissuta prima, nonostante i frequenti periodi di conflitti e tensioni. Questo tempo forte è molto atteso ed essere limitati rende triste la gente; il clima di tensione e paura peggiora la vita in Terra Santa.
Vedersi impossibilitati a esprimere la propria fede è una sofferenza che fa il paio con quella della gente di Gaza, stremata dai bombardamenti, dalla mancanza di una casa, di cibo e forse con il dolore di aver perso persone care. Cosa raccontano oggi gli sfollati della Striscia e quali possibilità ci sono per aiutarli?
In Terra Santa stanno soffrendo tutti. La situazione di Gaza è disumana; le notizie e le immagini sono terribili. Ho parlato con i bambini di Gaza arrivati in Italia per essere curati e con i loro accompagnatori. Le loro storie sono dolorose, i loro traumi saranno difficili da cancellare. Stiamo cercando di portare in Italia più persone bisognose di cure. Spero che venga messo in atto il cessate il fuoco al più presto, perché a Gaza si muore per la guerra, per le bombe, si muore di fame, si muore mentre si vanno a cercare i pochi aiuti umanitari che entrano dal confine con l’Egitto, si muore per andare a recuperare gli aiuti che dal cielo sono caduti in mare. Ora bisogna pregare affinché il cessate il fuoco inizi e diventi definitivo per poter aiutare i sopravvissuti.
La Custodia di Terra Santa ha contribuito ad assicurare cure ad alcuni bambini palestinesi che sono stati portati negli ospedali italiani. Come sta procedendo il progetto e come vivono la tragedia della guerra i bambini di Gaza? E come la vivono anche coloro che sono fuori dalla Striscia ma sentono la gravità della situazione?
Ho seguito personalmente questa importante opera promossa dalla Custodia e permessa dall’Italia con tanta generosità e disponibilità. Fino ad ora sono arrivati negli ospedali italiani circa 160 persone tra bambini e adulti. I bambini, in particolare, raccontano le loro storie di sofferenza con dettagli che colpiscono, atroci da sopportare per gli adulti, figuriamoci per i piccoli. Ora, in Italia, tra persone accoglienti e in ambienti sereni, curati e assistiti con competenza, si sentono in paradiso. Hanno nostalgia dei cari rimasti a Gaza e la loro prima richiesta è riunire la famiglia. Spero di poterli aiutare a realizzare questo forte desiderio.
Molti camion di viveri sono pronti alla frontiera ma non hanno il permesso di viaggiare per raggiungere gli sfollati e dall’altra parte ci sono aiuti lanciati dal cielo per raccogliere i quali alcune persone sono anche morte affogate. Come si può sbloccare questa situazione disumana?
La mancanza di arrivo degli aiuti umanitari ha reso la situazione della guerra a Gaza ancora più disumana. Ho detto più volte che a Gaza si muore di fame in due modi: si muore di fame e si muore mentre si va a recuperare il poco cibo arrivato. Ma si muore di fame anche mentre si va a recuperare gli aiuti arrivati dal cielo in mare. Pur di portare cibo ai propri cari, si rischia la vita. Pochi giorni fa sono morti annegati dodici uomini. Se ci sarà un vero cessate il fuoco, la gente non morirà di fame né a causa della guerra. La comunità internazionale deve garantire questa decisione, che dovrebbe portare soprattutto alla fine del conflitto.
Nonostante lo scenario sia di distruzione e morte, la Pasqua è la festa della speranza per eccellenza. Ci potrà essere una resurrezione per la Palestina? E come sarà possibile costruire una convivenza pacifica tra due popoli come quello palestinese e israeliano? Ci sono ancora legami di amicizia tra le persone che appartengono alle due parti in causa o la guerra sta continuando ad allontanare anche la gente comune?
Abbiamo vissuto il tempo forte della Quaresima e della Settimana Santa che ripercorre la via dolorosa vissuta dalla Terra Santa nella speranza della Pasqua di Resurrezione. La preghiera affinché la guerra finisca presto è forte, perché entrambe le parti in conflitto possano vivere una vera pacificazione. Prima del 7 ottobre, la convivenza fra palestinesi e israeliani, che avevano necessità di lavorare, di studiare o di avere altre attività comuni, era difficile ma possibile. Dopo il 7 ottobre, fra queste persone c’è più diffidenza e paura dell’altro. È importante ora che tanta violenza non si trasformi in vendetta e che l’odio possa essere cancellato dalla speranza della Resurrezione, per questa umanità oltraggiata e ferita.
(Paolo Rossetti)
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