Qualche settimana fa, parlando con una persona che non è cristiana, siamo venuti sul discorso della Pasqua e mi chiedeva che cosa fosse. Ho cominciato a spiegare il significato centrale che ha nella religione cristiana questo evento, gli ho parlato della Redenzione, del messaggio e del ruolo di Gesù, di Passione e di Resurrezione… mi ha posto molte questioni e ne abbiamo argomentato lungo, ma è stata una delle sue ultime domande a lasciarmi stupito e forse anche a spiazzarmi un po’. Mi dice: “Ma, in definitiva, che cosa significa la Pasqua per te?” Senza forse volerlo, ha proprio colto il punto centrale. Perché è un conto è “sapere” che cosa sia la Pasqua, un altro è viverla.



Specialmente qui, in carcere, dove la “festa” non sta certo di casa, c’è poco per cui gioire nella quotidianità ordinaria e non è immediato dare un senso al Grande Giorno o al periodo che ci conduce là.

Da quella volta, con lui e con altri abbiamo cominciato a ragionare nei pochi momenti in cui nascono i discorsi seri, facendo loro spazio tra la confusione costante. Ci siamo allontanati dalle spiegazioni formali e abbiamo provato a scavare.



Qui, dove ogni tempo è una specie di quaresima, dove non sono moneta corrente parole come “sacrificio”, “penitenza”, “mortificazione” non perché non vi siano, ma proprio perché sono vita ordinaria, che cosa ci porta la Quaresima? Che vengono a dire questi 40 giorni? Nei quali, tra l’altro, non vi sono segni esterni, non c’è una chiesa o una cappella in cui trovare un silenzio ristoratore, non ci sono momenti di preghiera – quelli che abbondano nelle parrocchie – non c’è nulla. Abbiamo vissuto la Colletta Alimentare straordinaria per i profughi dall’Ucraina come piccolo nostro impegno ed è stato utile; si è strappata con fatica la celebrazione della Via Crucis una volta a settimana, cui comunque partecipa uno sparuto gruppetto; mancano anche i riti della Settimana Autentica: si salvano solo il Venerdì Santo in cui viene arcivescovo a stare con noi e la messa del giorno di Pasqua. Dunque?



Ebbene, lentamente, chiacchierando e confrontandoci, è emersa una possibilità. Quella di cogliere una diversa prospettiva, un modo nuovo per vedere la situazione. Con quei compagni, fissando lo sguardo sul momento in cui Gesù risorge, abbiamo fatto esperienza di una realtà profonda: la morte, il dolore, la solitudine e il peccato non hanno l’ultima parola; non ce l’hanno per nessuno di noi. È la vita che vince. È la gioia, è la comunione.

Anche qua, anche ora, anche se sembra il contrario, anche se il peso è grande, anche se l’esistenza risulta sospesa e come assente. Ogni Quaresima finisce, primo poi, e in fondo c’è la luce abbagliante della Resurrezione. È un’idea semplice ma grandiosa, che ci ha fatto bene cogliere o ritrovare e che pensiamo abbia dato senso alle settimane che portano alla Pasqua. È confortante la certezza che nessun buio può prevalere, né dentro né intorno a noi. Buona Pasqua.