Dopo la guerra voluta dagli americani contro il regime di Saddam Hussein, l’Iraq ha conosciuto una situazione politica spesso caotica, senza uno Stato forte in grado di far rispettare la sua autorità in un territorio diviso e caotico.
Il dopo Saddam, insomma, non è stato certamente florido. Anzi, nel 2019 l’Iraq è stato classificato come il quinto Paese che più risente dei cambiamenti climatici e della desertificazione. E nel corso degli anni è stato al centro di una serie di attacchi terroristici da parte dell’Isis.
Una situazione che fa dire al cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, che occorre un Paese nuovo, che recuperi i valori umani e religiosi e che sappia garantire la giustizia, mettendo fine all’arbitrio delle milizie. Un appello che arriva nei giorni di Pasqua e affonda le sue radici proprio nella speranza che viene dalla Resurrezione.
Cardinale, l’Iraq è un Paese in questo momento dimenticato dall’Occidente: si parla della guerra in Ucraina e di altre vicende ma non di voi. Com’è la situazione ora?
Siamo un po’ dimenticati perché questa guerra tra Russia e Ucraina ha cambiato il mondo. E il mondo, soprattutto l’Occidente, pensa solo ai suoi interessi, non ci sono valori. Ci sono migliaia di persone morte e altrettante scappate, rifugiate. Anche noi abbiamo avuto la stessa esperienza e finora l’Iraq non è guarito. Ci sono tanti problemi, una mentalità settaria che diventa una cultura, la corruzione che è diventata un sistema, le milizie. Il Paese è diviso, non c’è uno Stato forte che assicuri la giustizia e faccia rispettare la legge. La situazione è drammatica: le milizie talvolta sono più forti dello Stato, scuole e ospedali sono in condizioni miserabili, rovinati. Le scuole non hanno un tetto, non ci sono sedie e libri nelle aule e anche negli ospedali è lo stesso.
Come fanno a curare i malati?
Muoiono. Le persone ricche vanno in ospedali più attrezzati qui a Bagdad. I cristiani hanno due ospedali, a Erbil e a Sulaymaniyah: sono pieni.
La situazione politica?
Vive nella confusione, non c’è una visione, si lotta, talvolta anche con le armi, tra i politici che vogliono imporsi. Lo fanno per il denaro, non certo per servire il Paese, per svilupparlo. Hanno distrutto tutto.
Sono ancora molte le persone che cercano di emigrare, di lasciare l’Iraq per cercare fortuna in Paesi più ricchi?
Molti non hanno i mezzi per farlo. E poi la guerra in Ucraina ha un po’ cambiato le cose, anche dal punto di vista economico. Le persone ascoltano le notizie e sentono parlare di una possibile guerra mondiale: una situazione che mette ansia. Anche per questo ci sono meno persone che se ne vanno.
Come vivono i cristiani in un Paese a maggioranza musulmana?
A livello popolare non ci sono contrasti tra cristiani e musulmani. Dopo la visita del Papa tutto è cambiato per la gente. I politici, però, non sono cambiato. Poi, comunque, nel mondo musulmano pensano che l’unica vera religione è soltanto l’islam, tutte le altre religioni sono solo tollerate. E questo non è giusto, perché le religioni hanno gli stessi diritti: noi cristiani eravamo qui prima di loro. Nel nostro Paese la maggioranza era cristiana quando l’islam è venuto nel VII secolo.
Cosa comporta questo modo di pensare nella considerazione che hanno dei cristiani?
Questa mentalità crea un senso di superiorità che talvolta viene trasformata in violenza, marginalizzando chi non è musulmano. Nelle strade la gente ci rispetta dopo la visita del Papa, la Chiesa caldea ha organizzato tanti incontri di dialogo tra autorità cristiane e musulmane, abbiamo un buon rapporto. Anche con il Governo: quando vado a incontrare il presidente e il primo ministro, si comportano bene con noi. Ma noi non pensiamo solo ai cristiani: ci vuole un Iraq nuovo, civile, legale, che assicuri la giustizia, ci vuole un esercito forte per difendere il Paese e proteggere la gente. Un sogno, ma bisogna sognare per il futuro.
I rapporti tra cristiani e musulmani quindi sono buoni ma ci sono vicende per le quali vi sentite messi da parte?
Sì. Nella piana di Ninive imperversano le milizie. Tante volte ho chiesto che ci sia lì la polizia o l’esercito iracheno per controllare, perché nei villaggi cristiani della zona i rapporti, la cultura, la mentalità, sono diverse. Cosa vogliono lì queste milizie? Cercano soldi, ecco cosa vogliono. A fronte di questo non c’è una strategia. Le milizie controllano tutto, e i cristiani non sono tranquilli. Se c’è anche una milizia cristiana, in realtà è solo la facciata ad essere cristiana, hanno in mente solo i loro interessi.
In questo contesto che messaggio può arrivare dalla fede a Pasqua?
Per me, come Pastore, l’unica forza, l’unica consolazione è la nostra fede. Tutto questo male finirà un giorno, perché il male non ha futuro. Questo male è finito con Gesù Cristo: per noi e per tutti nel mondo. Bisogna ritrovare i valori umani e i valori religiosi, spirituali. Quando una persona cerca solo gli interessi economici che cosa è? Niente. Occorre un nuovo ordine mondiale. Così com’è non funziona.
Da cosa deve cominciare questo cambiamento?
La Pasqua è una chiamata per ritrovare i valori umani e religiosi. Ci vuole una spiritualità, altrimenti non c’è limite per l’appetito di questi capi politici. La speranza della gente è una speranza fondata sulla Resurrezione di Cristo. Totalmente, perché non c’è altro. La soluzione o la vittoria non viene dagli uomini, viene da Dio. Dio ha resuscitato Gesù Cristo e anche noi. Il futuro dipende anche dai nostri rapporti con Dio, un rapporto verticale ma anche orizzontale, che porta alla fratellanza tra noi. Papa Francesco lo ripete sempre. Abbiamo perso il senso di questa fratellanza: oggi l’altro è considerato un nemico, non un fratello. Ma forse è una brava persona. E allora perché non fare un passo verso di lui?
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