“Il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente”. Le parole sono di Giovanni Paolo II, e il Paese dei cedri vuole ancora rimanere fedele a quella definizione. Anche se oggi, spiega Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batroun, le difficoltà che incontrano i libanesi sembrano allontanare la possibilità di costruire un futuro dignitoso. La crisi economica, lo Stato assente, la corruzione, la massa dei profughi siriani che hanno lasciato il loro Paese dopo la guerra civile per stabilirsi in Libano, e la paura di un conflitto con Israele sono la Croce che la popolazione porta su di sé in questa Pasqua.
La comunità cristiana cerca di fare il possibile per i profughi e gli sfollati dal Sud del Libano, dove imperversano i combattimenti fra Hezbollah e IDF, e per tutti coloro che cercano ogni giorno di sbarcare il lunario. Non abbandona la speranza, ma gli ostacoli da superare sono tanti, soprattutto a livello politico. Sì, perché la gente comune, i cristiani e i musulmani libanesi, non hanno dimenticato come si fa a vivere insieme, pacificamente, e abitano la loro terra ancora secondo il pluralismo evocato da papa Wojtyła. Chi dovrebbe avere la responsabilità del Paese, invece, ha comportamenti divisivi, rendendo conto a interessi di Paesi stranieri. Tra i pochi sostegni, c’è quello dei libanesi che vivono all’estero, che mandano in patria, alle loro famiglie di origine, gli aiuti necessari per sopravvivere.
L’economia è in crisi e le istituzioni pure. E c’è il rischio di un conflitto con Israele che incombe come una spada di Damocle. Come vive oggi la gente in Libano?
La situazione del Paese è catastrofica, a livello politico, economico e della vita quotidiana della gente. Pesa soprattutto la crisi economica e, in particolare, la svalutazione della lira libanese in confronto al dollaro. La gente fa fatica a sopravvivere. Si fa sentire il peso sociale dei rifugiati, soprattutto dei siriani. Sono diventati molto numerosi. I libanesi non riescono più a pagarsi neppure i beni di prima necessità, quelli indispensabili per la vita di tutti i giorni. Le medicine e l’ospedalizzazione sono un problema. La Chiesa e i cristiani, comunque, non si rassegnano e continuano il loro impegno: cerchiamo di trasmettere forza, coraggio e speranza alle persone, nella consapevolezza che la crisi un giorno finirà e potremo ricostruire insieme il nostro Paese.
In una situazione del genere, comunque, è difficile mantenere la speranza: come si può tornare ad avere fiducia nel futuro?
La comunità cristiana ha vissuto gli appuntamenti della Domenica delle Palme e della Settimana Santa con grande intensità, tutti insieme, nonostante le minacce della guerra. Gli scontri nel sud del Paese tra israeliani e Hezbollah ci ricordano sempre la possibilità che il conflitto si estenda a tutto il Libano. Viviamo con questa ansia. La Pasqua, però, per noi è una situazione eccezionale per rivivere questa nostra situazione con Gesù Cristo, che è salito sul Golgota per morire sulla Croce e salvare tutti noi. Viviamo le sofferenze attuali nella speranza della Resurrezione.
Il problema, però, è anche che il Libano ora sembra abbandonato a sé stesso, senza nessuno che sia in grado di guidarlo, di governarlo. È così?
Lo Stato adesso è completamente assente dalla vita della gente, che deve arrangiarsi. Per fortuna, ci sono i libanesi che vivono all’estero che aiutano le loro famiglie mandando loro qualcosa ogni mese per cercare di mantenerle.
La Croce del popolo libanese, insomma, porta qualche peso in più, quest’anno.
La nostra Croce si fa ogni anno più pesante: sono ormai 48 anni che siamo in una guerra che non finisce mai. Comunque, non ci rassegniamo, continuiamo a credere in una pace che sarà per tutti i Paesi del Medio Oriente.
In Libano sono presenti diverse confessioni religiose, come si vivono i rapporti con i musulmani a livello politico ma anche nella vita quotidiana?
Ci sono comunità diverse ma viviamo molto bene insieme, cristiani e musulmani, e siamo tutti uniti per rifiutare la guerra e anche una classe politica completamente corrotta. Da un lato, quindi, non c’è nessun problema a vivere questa diversità fra di noi. Se ci sono conflitti sono a livello politico, sono le appartenenze politiche (Hezbollah e altri) che ci fanno problema, perché ognuno diventa intermediario di un Paese straniero, la Siria, l’Iran, ma anche gli Stati Uniti. I conflitti sono reali ma sono a livello politico, la religione non c’entra. Per questo non perdiamo la speranza. Il Libano, come diceva Giovanni Paolo II, resta un Paese-messaggio. C’è la necessità di eleggere un presidente della Repubblica per cercare di mantenere un equilibrio nel potere libanese.
La comunità cristiana, nonostante tutte queste difficoltà, si è adoperata per aiutare sia i siriani che gli sfollati che provengono dal Sud del Paese dove Hezbollah si scontra con gli israeliani. Un impegno alla solidarietà che continuerete?
Aiutiamo tutti senza distinzione. Solo che il peso dei rifugiati siriani è notevole: facciamo fatica ad aiutarli, anche perché sono diventati quasi più numerosi dei libanesi. Hanno tutto assicurato dalle Nazioni Unite, mentre ai libanesi manca il necessario. Nonostante questo, la Chiesa si mette al servizio di tutti, senza distinzione, e continuerà a farlo, ma le potenze straniere devono aiutare il Libano a risolvere il problema dei rifugiati, oltre al conflitto politico interno.
(Paolo Rossetti)
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