No al dirigismo statalista, ma basta con il liberismo esasperato: se vogliamo che il sistema economico continui – anzi, si dovrebbe già dire: “riprenda” – a produrre benessere per la collettività, bisogna trovare una terza via che rinnovi le premesse politiche delle regole con cui incanalare la libertà d’impresa: parola di Corrado Passera, oggi fondatore e amministratore delegato di Illimity Bank dopo aver guidato di tutto, e con successo, in una precoce e lunga carriera manageriale (Banca Intesa San Paolo, le Poste, la Mondadori, l’Olivetti…) e aver gestito il ministero dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture nel governo Monti. Di questi temi, e dell'”economia solidale che conviene al Paese”, ha discusso in un seguitissimo dibattito al Meeting di Rimini. Ma proprio l’attualità di quel dibattito dà spazio a numerose altre considerazioni, di cui Passera ha accettato di parlare col Sussidiario.



Dunque: occorre una nuova regolamentazione per l’economia?

Sì, ma non basta. Ci vuole un impegno politico condiviso: per costruire un’economia veramente responsabile, dobbiamo toglierci di torno l’assunto ideologico più duro a morire che viene da una interpretazione superficiale della “mano invisibile” di Adam Smith: “Se ciascuno persegue il suo interesse ne deriva il bene comune”. Come dire che la somma di egoismi e avidità dovrebbe produrre solidarietà.



Non è così?

Tutt’altro. È un assunto ideologico duro a morire perché è comodo, perché soprattutto è deresponsabilizzante e autoconsolatorio: si teorizza addirittura il perseguimento del proprio personale interesse come valore sufficiente. In realtà, il bene comune non deriva automaticamente dal fatto che ciascuno persegua esclusivamente il proprio bene personale, ma può realizzarsi solo come frutto di una responsabilità personale a ricercare, oltre che il proprio bene individuale, anche il bene comune.

Per esempio, che bene comune c’è nei mille recenti licenziamenti di Deliveroo in Germania, comunicati peraltro via mail?



Sono fenomeni che aumenteranno, dobbiamo prepararci a gestire un fenomeno esteso e inaccettabile di lavoratori poveri, cioè di lavori che non permettono una vita dignitosa. In parte queste situazioni derivano dallo sviluppo digitale, ma le vere ragioni sono l’offerta enorme di lavoro non qualificato e “disperato” e una regolazione inadeguata.

E invece come e dove vanno sviluppati i nuovi lavori sostenibili in Italia alla luce di queste considerazione che ha fatto?

Molti mestieri attuali saranno più difendibili di altri, soprattutto quelli creativi, quelli professionali con forti elementi di giudizio, quelli che implicano forti rapporti interpersonali (sia nel mondo profit che non profit), quelli imprenditoriali, quelli legati all’utilizzo di macchinari e computer complessi, quelli legati all’economia digitale o a settori tecnologici in crescita come robotica, genomica, biotecnologie, intelligenza artificiale, cybersecurity. Per non parlare della nuova medicina e della nuova agricoltura o dell’artigianato di qualità. Questo messaggio va prima di tutto compreso dalle famiglie che spesso indirizzano i figli verso mondi e mestieri che non esisteranno più o che saranno messi a rischio.

E invece dovrebbero prepararli davvero ad affrontare un mondo del lavoro sempre più competitivo.

Sì, e in continua evoluzione. Non sarà necessario solamente prepararsi meglio – altro che diplomi e lauree facili….! – , ma bisognerà prepararsi ad aggiornarsi per tutta la vita per non diventare presto obsoleti e, comunque, bisognerà essere pronti a cambiare varie volte lavoro nella vita per non subire, ma cavalcare i cambiamenti che avverranno in tutti i settori. Formazione e flessibilità sono sfide per tutta la società: è una nuova responsabilità delle imprese (purtroppo l’Italia è tra gli ultimi paesi nella classifica della formazione in azienda) ed è responsabilità della politica ridisegnare l’impianto del welfare ed evitare che flessibilità diventi sinonimo di paralizzante precarietà.

Ma oggi è difficile immaginare i lavori del futuro…

Forse, ma intanto ci sono già centinaia di migliaia di posti di lavoro non coperti nel grande mondo dell’economia digitale e nelle nuove tecnologie e in molti di questi campi l’offerta formativa resta ancora scarsa.

Ma torniamo ai mali del sistema economico. Per esempio la logica di breve termine – short-termism – in cui sembra muoversi Wall Street. Come si può verosimilmente conciliare l’idea di una crescita sostenibile con le pretese esasperate delle Borse?

Sì, la visione di brevissimo termine domina oggi le borse per quanto esista già, anche nel mondo “public”, una categoria di investitori che sanno puntare su imprese e progetti solidi di medio periodo. Proprio per evitare di essere travolti dallo shortermismo esasperato sempre più imprenditori e investitori scelgono di andare “private” cioè di finanziare i loro progetti con strumenti non di borsa, come ad esempio il private equity o i club deal.

E poi c’è il malcostume della divaricazione altrettanto esasperata delle retribuzioni tra i vertici aziendali – i top-manager – e la stragrande maggioranza dei dipendenti…

È una divaricazione diventata da anni scandalosa, con vere esasperazioni, soprattutto nei mercati anglosassoni. L’odio sociale che si è sviluppato in quasi tutti i paesi sviluppati è collegato anche a queste divaricazioni crescenti. Tutto ciò è reso ancora più inaccettabile dal fatto che tali eccessive retribuzioni sono legate spesso a scelte aziendali socialmente disastrose: obbiettivi di efficientamento a breve termine, taglio di investimenti, riacquisto di azioni proprie invece che sviluppo, ecc.

Torniamo al nodo vero: fino a che punto la “mano invisibile” che ricordava prima lei può essere affiancata, rafforzata o anche contrastata dalla mano visibile della regolamentazione?

Fino al punto in cui il mercato visibilmente fallisce e va corretto o integrato. Consideri che molti assunti ideologici del neoliberismo, dopo la crisi della quale paghiamo ancora le conseguenze, mostrano oggi tutta la loro inconsistenza. Ormai sono rimasti in pochi a pensare ancora che i mercati si autoregolino; sono rimasti in pochi a pensare che gli operatori di mercato si muovano sempre in maniera razionale; sono rimasti in pochi a pensare che se l’economia cresce, tutti automaticamente ne beneficiano; e sono in pochi a pensare che se si abbassano le tasse sugli utili d’impresa, aumentano automaticamente gli investimenti delle imprese stesse. Ecco: per sopperire alla mancanza di questi automatismi, occorrono regole.

E a proposito di regole, facciamo una contro-analisi delle conclusioni della Business-Roundtable: com’è possibile che quei signori si siano accorti solo adesso della Csr?

Penso che se ne siano accorti da tempo, ma hanno preferito tirare la corda fino a quando hanno potuto. Oggi, alcuni di loro, finalmente si rendono conto che la legittimazione del sistema imprenditoriale di mercato sta venendo meno e vogliono dare un segnale. La maggioranza dei giovani americani mostrano un forte scetticismo sul valore del sistema capitalistico americano: anche i più convinti neoliberisti non possono ignorarlo. Il protocollo della Business Roundtable mi pare comunque piuttosto timido: si tratta di principii già condivisi – almeno teoricamente – a livello internazionali da una ventina di anni.

E com’è possibile che le istituzioni economiche e politiche globali – dall’Onu al Fondo monetario – non riescano a superare i limiti istituzionali tradizionali e a occuparsi anche di queste tematiche dando linee guida capaci di ridurre le distorsioni?

Si stanno muovendo, finalmente, ma con grande lentezza. Le teorie economiche dominanti fanno fatica a evolversi.

Di fronte a un concorrente, che ci sarà sempre, determinato a violare le regole pur di prevalere, anche l’azienda più etica e socialmente responsabile può tralignare pur di sopravvivere. Quest’oggettività va contrastata, ma in che modo? Basta l’Antitrust?

L’Antitrust e le altre Autorità indipendenti hanno ruolo fondamentale. Il non rispetto delle regole fiscali è una delle fonti maggiori di distorsione, ma non basterà certo la Guardia di Finanza se continuiamo a giustificare condoni di ogni genere.

Infine: che ne pensa della mossa del Papa di puntare sui giovani economisti per individuare le linee guida della nuova economica?

Bene fa! Il conformismo di quasi tutti gli economisti “maturi” non porterà a grandi novità malgrado l’inadeguatezza dimostrata. L’importante è far evolvere in senso responsabile il nostro sistema basato sull’impresa e il libero mercato. Senza perderne i tanti aspetti di valore. Come per la democrazia, possiamo dire con certezza che ha un sacco di pecche da aggiustare, ma gli altri sistemi sono certamente peggio.

(Sergio Luciano)

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