È allarme per l’aumento del costo della pasta che, nel giro di pochi mesi, ha visto balzare al +40% i costi di produzione. A denunciare questo trend, sempre più in aumento dal 2021, è l’amministratore delegato di Divella, Vincenzo Divella, che ha spiegato come a settembre la grande distribuzione comprava un chilo di pasta a 1,10 euro, ora il costo e di 1,40 euro e per la fine di gennaio arriverà a 1,52 euro. Numeri alla mano, dunque, l’aumento è del 38% e il trend sembrerebbe non vedere un freno.
“I primi 30 centesimi li abbiamo dovuti chiedere dopo l’estate, per far fronte all’aumento vertiginoso del costo della nostra principale materia prima, cioè il grano. Tra giugno e oggi, il prezzo del grano alla Borsa di Foggia è cresciuto del 90%. Un rincaro che non avremmo mai potuto ammortizzare da soli, basta pensare che per noi la semola rappresenta il 60% di tutto il costo di produzione della pasta” ha spiegato Divella. L’AD dell’omonimo gruppo pugliese ha aggiunto: “Il nuovo aumento dovrebbe diventare effettivo con il rinnovo degli ordini alla fine di questo mese”.
PASTA, COSTO PRODUZIONE IN AUMENTO: LE CAUSE
Come riferito dal Corriere della Sera, diverse sarebbero le cause che hanno portato all’aumento del costo di produzione della pasta e alle conseguenze che tutti presto vedremo nei nostri carrelli della spesa. Tra le principali, ha sottolineato Coldiretti, c’è l’aumento del prezzo del grano, causato a sua volta dalla mancanza di semine e dal costo raddoppiato per sostenerle. Rispetto agli anni precedenti si parla di -3% della produzione e dunque costi più elevati per far fronte alle perdite da registrare nell’anno.
“Gli squilibri sul mercato mondiale non finiranno qui, e nell’inverno del 2022 avremo nuovi problemi, comprese le fiammate speculative. Ci dobbiamo abituare al fatto che un prodotto possa finire e che non ne arrivi più” ha spiegato Riccardo Felicetti, dell’omonimo gruppo famigliare. I dati Istat evidenziano a novembre un calo congiunturale per le vendite al dettaglio con un -0,4% in valore e -0,6% in volume. In particolare sono in diminuzione le vendite dei beni alimentari con un -0,9% in valore e -1,2% in volume, mentre quelle dei beni non alimentari risultano stazionarie.