I rincari andranno duramente a colpire anche il costo della pasta. Gli aumenti infatti stanno coinvolgendo ormai qualsiasi aspetto della nostra vita quotidiana. Non solo quindi bollette e carburante. Ora si parla anche della possibilità che ad essere intaccati dai rincari siano anche i beni primari. Le famiglie italiane subiranno quindi un nuovo colpo alle proprie finanze.



L’indagine è stata condotta dalla rivista ‘Il Salvagente‘, che ha messo a confronto 20 tra i diversi maggiori marchi di pasta, fotografando l’andamento dei prezzi nell’ultimo anno, e stimando la previsione di un possibile aumento anche fino a 2 euro al chilo nel 2023. Senza contare che alcune aziende già vendono il prodotto a 3 euro, facendone un bene quasi di lusso, il cui acquisto graverà pesantemente nelle tasche di coloro che già versano in una situazione economica precaria. Un aumento di quasi il 30% in un anno non è poco infatti!



Chi è più ottimista pensa comunque che questa situazione inciderà solo durante i primi mesi del nuovo anno, tornando a valori ‘normali’ già dal secondo semestre.

Perchè anche la pasta ci costerà di più

Di fronte a questi aumenti la domanda sorge spontanea: perchè anche beni di prima necessità, come la pasta, subiscono rincari? Speculazione o altro?

Il fattore principale è da ricercare nell’impennata dell’inflazione, già salita come diretta conseguenza della pandemia da cui siamo stati travolti nell’ultimo biennio, e ulteriormente in crescita a partire dalla crisi generata dalla guerra in Ucraina nella filiera alimentare. I dati ci provengono dall’analisi Coldiretti condotta sulla base dei dati Istat: si parla di un aumento medio del 9,1% dei prezzi dei beni alimentari e delle bevande nel 2022 rispetto al 2021. E a pesare maggiormente nelle spese degli italiani sono proprio beni quali pane, riso e pasta.



L’inflazione, tra l’altro, non è destinata a scendere nel breve periodo. Ed è proprio su questo dato di fatto che si fonda la continua crescita dei prezzi anche per il 2023.

Ad incidere sui rincari è anche la produzione stessa di pasta. In Italia la produzione e la lavorazione del grano duro ha registrato un calo di circa il 6%, portando quindi le aziende ad acquistare i beni al di fuori del nostro Paese, principalmente dal Kazakistan e dall’Australia.