Il tema della patente d’immunità da Coronavirus resta dibattuto: potrebbe essere uno strumento per la ripartenza delle attività, il Cile potrebbe essere il primo Paese a “distribuirle” a chi è guarito per tornare al lavoro, ma la prudenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e in generale degli esperti, anche in Italia, resta alta e la scienza dunque per ora non si sbilancia su un tema sul quale non vi sono ancora chiare evidenze.



Al momento attuale, l’OMS non può garantire che chi ha sviluppato gli anticorpi abbia davvero l’immunità dal Coronavirus e il direttore esecutivo per le emergenze sanitarie, Mike Ryan, ha dichiarato che non ci sono indicazioni che possano far pensare che una larga parte della popolazione abbia sviluppato l’immunità.



Il fatto che vi sia un numero non trascurabile di pazienti che si sono ripresi dal Coronavirus ma che ai test sono risultati di nuovo positivi ha creato l’allarme nella comunità scientifica, che sta ancora indagando sulla modalità con cui gli anticorpi lavorano in risposta al Covid-19.

PATENTE D’IMMUNITÀ DA CORONAVIRUS? OMS ED ESPERTI RESTANO CAUTI

Vero pure che non ci sono ancora prove che una persona ritestata positiva possa diffondere ulteriormente il Coronavirus, ma la cautela dal punto di vista scientifico è ancora obbligatoria e dunque dall’OMS parte un avvertimento ai governi che pensano alla patente d’immunità come a una soluzione al problema.



Anche importanti specialisti italiani hanno avvertito che la situazione non è ancora chiara. Ad esempio Fausto Baldanti, direttore dell’unità di virologia molecolare dell’Ospedale San Matteo di Pavia, che ha detto a Il Giorno: “Il discorso della patente d’immunità è molto complicato e io per prudenza non userei questo termine”.

Fabrizio Pregliasco ha invece precisato a Radio Capital che sui test sierologici “c’è una grande attesa, con una speranza però che il test non può dare, cioè una patente d’immunità“. Attenzione soprattutto ai cosiddetti test rapidi che “hanno margini di errore che possono portare a situazioni non congrue, qui la falsa positività è ancora più evidente. I test servono non tanto per diagnosticare ma per capire regione per regione la diffusione reale del virus”.