Claudio Risé, firma del quotidiano La Verità, ha pubblicato un’analisi sulla morte di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta in quello che secondo le femministe italiane è l’ennesimo delitto legato al patriarcato. Una tesi che, tuttavia, non piace al giornalista che ne intravede un espediente, o meglio “la solita sceneggiata” che “qualcuno” vuole usare per “infilarsi alle prossime elezioni”.



Lo stesso termine patriarcato, spiega, è “tra i più abusati e fantasiosi della storia“, nonostante venne già liquidato “decenni fa dall’acutissimo antropologo e filosofo Furio Jesi come inesistente”. Il rischio, secondo il giornalista, è che dietro a quel termine si miri a nascondere l’ennesima battaglia ideologica, facendolo diventare “il covid prossimo venturo, e che per debellarlo si inventino formazioni psicologiche, si perdano ore di scuole preziose, eventualmente si impongano tessere”. Nel caso specifico di Turetta, spiega Risé, non si tratterebbe di patriarcato, ma solamente lo spettro delle “vere condizioni dei rapporti tra uomo e donna: l’humus in cui è maturato il malessere psichico di Filippo Turetta”.



Risé: “Turetta non ha nulla del patriarcato”

“Questo è il vero problema”, spiega ancora Risé negando che il patriarcato spieghi il gesto di Filippo Turetta, “il grave malessere psichico in cui in realtà si trovano oggi sia gli uomini che le donne, la scadente qualità delle loro relazioni, e l’enorme danno che ciò crea alle nuove generazioni, che hanno invece bisogno di madri e padri forti, che si amino e che riprendano in mano le proprie esistenze e quelle dei loro figli”.

“Come si fa a vedere il patriarcato”, si chiede Risé, “in un poveretto che fa un delitto confuso e pieno di errori, e finisce in un’autostrada senza benzina? Lui è un povero assassino, ma le autorità e i comunicatori non sanno di cosa parlano: se i maschi di potere fossero stati così non avrebbero conquistato nemmeno un praticello”. Similmente, parlare ancora oggi e condurre ampie e diffuse guerre contro il patriarcato “come se fosse qualcosa di attuale, e soprattutto dotato di pericoli, è ridicolo e riporta tutto indietro almeno di 75 anni“. Non a caso, conclude, “nelle materie che seguono queste questioni, il maschio violento è noto e studiato in quanto ‘soft male’, maschio dolce, tutt’altro che violento“.