Alessandra Pauncz, psicologa che dal 1995 si occupa di maltrattamento e violenza sulle donne, ha commentato in una intervista a Il Foglio il caso di Giulia Cecchettin. “Ascoltando il suo audio alle amiche ho riconosciuto la difficoltà delle vittime di uomini che sono violenti ma di cui riconoscono fragilità. Tante volte è proprio questa fragilità che impedisce loro di allontanarsi. E così si espongono a ulteriori rischi”.



Nel 2009 l’esperta ha fondato il primo centro in Italia per la presa in carico degli uomini autori di violenza. È ben consapevole, dunque, di cosa si cela nella mente di persone come Filippo Turetta. “Quando pensiamo al patriarcato pensiamo al padre padrone. Ma questa visione stereotipata non è quella a cui dobbiamo fare riferimento oggi. Gli uomini che agiscono con violenza tendono a minimizzare, negare e attribuire la colpa alla donna: se stanno male è perché lei ha detto o fatto qualcosa di sbagliato, perché pretendono un’attività di cura emotiva e affettiva e se manca si difendono con la violenza. È un modo per riprendere il controllo della situazione, impedire che la donna continui a fare qualcosa che li fa soffrire”.



“Patriarcato non è più padre padrone”, l’analisi della psicologa Alessandra Pauncz

È indispensabile, dunque, secondo Alessandra Pauncz, riflettere su come è possibile abbattere questa nuova versione del patriarcato e, soprattutto, la violenza sulle donne. L’educazione è alla base di questo processo. “Gli uomini vivono una sorta di immaturità affettiva, una mancanza di alfabetizzazione delle emozioni. Alcuni non riescono a concepire che se stanno male devono occuparsi da soli del loro malessere: si curano di meno, vanno meno dal medico, muoiono più giovani. Non si aprono facilmente alla dimensione della sofferenza perché questa ha a che fare con la fragilità e la fragilità è rifiutata all’interno di una cultura che vuole l’uomo forte”, ha sottolineato.



Il lavoro della rete nazionale dei centri per uomini autori di violenza, di cui è presidentessa, è orientato proprio a cambiare questa prospettiva. Non basta, tuttavia, lavorare a posteriori. “Serve fare prevenzione rivolta agli uomini perché parliamo di violenza maschile contro le donne. Se non facciamo un cambio di paradigma continuiamo ad affrontare il problema a valle e non a monte”, ha concluso.