Uno degli ultimi tweet di Patrick Zaki ha fatto storcere il naso a più di qualcuno. Il giovane studente egiziano, torturato, condannato e incarcerato proprio in Egitto, ha più volte denunciato il regime di al-Sisi. Lo stesso che ora sta lavorando a “sostegno della causa del Sudafrica contro Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia per il crimine di genocidio”. Le sue parole, arrivate su X, non sono andate giù, nonostante l’attivista abbia solo riportato un dato di fatto, un comunicato da parte del Paese nordafricano. Tanti i commenti arrivati sotto al post X di Zaki, alcuni dal tono di voce piuttosto acceso.



“Ti ricordo che appena hai messo piede in Egitto ti hanno arrestato, hai detto che ti hanno torturato, ti sei fatto un anno e mezzo di carcere lì, abbiamo dovuto spendere soldi pubblici… E proprio tu ci parli del governo egiziano che peraltro alza muri sempre più alti per evitare l’ingresso dei palestinesi” ha scritto un utente su X. Un altro ancora non ha usato mezzi termini: “Col c*lo al caldo in Occidente ora esalta anche l’Egitto. Che patetico“. Qualcun altro, invece, ha ironizzato: “Sindrome di Stoccolma spiegata benissimo”.



Patrick Zaki: “Condividere non significa approvare”

A difendere Patrick Zaki, o meglio, a far chiarezza, è stato il giornalista Paolo Mossetti, che commentando il post del giovane egiziano ha sottolineato: “Vorrei fare notare agli inebetiti dall’odio – sempre più sconfitti nel dibattito pubblico – che Patrick ha solo condiviso un’informazione, peraltro importante per capire l’isolamento israeliano; non ha postato un selfie con Al-Sisi“. Il tweet dello studente di Bologna, in effetti, non conteneva giudizi in merito, ma solamente una mera notizia: questo è però bastato per scatenare il caos sui social, dove Zaki è stato accusato di difendere l’Egitto, lo stesso Paese che lo ha torturato e incarcerato.



Sotto il commento di Mossetti ha replicato proprio Patrick Zaki, che ha ribadito la sua posizione, scrivendo: “Grazie per la comprensione, la mancanza di copertura delle notizie contro il genocidio rende una responsabilità far circolare le informazioni. Dobbiamo continuare a svolgere il nostro ruolo di ricercatori e giornalisti. Pensavo che tutti sapessero già che condividere non significa approvare“.