Cresce l’ansia per le sorti del giovane Patrick George Zaky, arrestato lo scorso venerdì al Cairo. Il giovane ricercatore dell’Alma Mater di Bologna, noto per il suo impegno nel campo dei diritti umani e LGBT, si trovava in Egitto quando è stato condotto in carcere. Secondo quanto riferito dal suo avvocato, il giovane sarebbe stato sottoposto a torture da parte della polizia egiziana. A parlare nelle passate ore all’Agenzia Ansa è stato un suo amico, Amr, cittadino egiziano 29enne che vive e lavora a Berlino e che è tra coloro che ne chiede a gran voce la liberazione. “Sono stato rapito dalle forze di sicurezza statali” in Egitto “e interrogato per 35 ore”, ha rivelato. “Non ho subito elettroshock ma sono stato picchiato, bendato e legato. Mi hanno privato del sonno e hanno cercato di distorcere il tempo”, ha dichiarato. Lo stesso giovane ha dichiarato che esiste il timore concreto di poter essere spiati e controllati dalle forze di sicurezza egiziane anche all’estero: “Ci sono state tante storie su questo in passato, una volta ho incontrato un ricercatore che stava scrivendo una tesi di master proprio su questo argomento”, ha proseguito.



PATRICK ZAKY, LA FAMIGLIA “GLI HANNO CHIESTO DEI REGENI”

Nel frattempo i genitori di Patrick George Zaky hanno denunciato anche che al figlio sarebbe stato chiesto dei suoi legami con la famiglia di Giulio Regeni. Lo hanno dichiarato ai giornalisti di Repubblica e Corriere che oggi hanno pubblicato un reportage dopo averli raggiunti nella loro abitazione egiziana a Mansura: “L’hanno interrogato illegalmente per trenta ore. E poi, sì, gli hanno chiesto anche dei suoi legami con la famiglia di Giulio Regeni. Dal 2016, di quel ragazzo italiano si parla su tutti i social media e anche Patrick conosceva il caso, se n’era interessato”. Secondo quanto emerso dal legale della famiglia, nei confronti di Patrick “è stato emesso un mandato di comparizione il 24 settembre ma nessuno glielo ha comunicato. Per questo è stato fermato alla frontiera”. Qui sarebbe poi stato bendato e portato da qualche parte al Cairo. “È stato detenuto e interrogato per 30 ore, torturato. Lo picchiavano e gli chiedevano dei suoi legami con l’Italia e con la famiglia di Giulio Regeni. Patrick non sa nulla di tutto questo: così alla fine lo hanno trasferito qui a Mansura”. Ora i genitori chiedono che possa fare presto ritorno a casa.

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