Prima di pensare alla patrimoniale bisogna riformare il sistema fiscale italiano. A replicare alla professoressa Elsa Fornero, che ieri ha riacceso il dibattito sull’imposta sul patrimonio immobiliare, è Serena Sileoni, docente di diritto costituzionale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. «L’idea non è di per sé buona o cattiva, ma lo diventa in base a una valutazione sia dell’esistente che dell’eventuale sistema tributario nel quale dovrebbe innestarsi», la premessa in un editoriale sulla Stampa. Di certo c’è un problema di finanziamento di spesa pubblica, quindi una tassa come la patrimoniale aiuta a togliere quella “polvere” nascosta finora sotto il tappeto. Per Sileoni non si può poi ignorare il fatto che in Italia c’è «una pressione fiscale che supera il 40% e che si concentra, in maniera distorta, sui redditi medi». Quindi, la patrimoniale «avrebbe due ulteriori vantaggi, oltre a quello strettamente fiscale: sarebbe più facile da determinare e accertare e potrebbe avere una maggiore finalità ridistribuiva rispetto alle imposte sui consumi o sul lavoro».



Ci sarebbe un terzo vantaggio per la professoressa di diritto costituzionale, il ritorno cioè ad una «tassazione su un bene che esprime un indice di “ricchezza”, dopo le tante acrobazie che la formula costituzionale della capacità contributiva ha generato». La proposta della patrimoniale è, quindi, ragionevole, ma ci sono dei rischi che non possono essere trascurati. Ad esempio, Sileoni ricorda che la Costituzione «incoraggia e tutela» il risparmio, perché serve in situazioni di necessità, ma può essere anche fonte di investimento e, quindi, di crescita economica, a beneficio di tutti. «Una imposta sulla proprietà immobiliare sarebbe quindi sul frutto dei risparmi e sugli investimenti. Bisogna quindi essere accorti nel disegnarla in modo tale da non compromettere l’esistenza stessa di questa forma di risparmio e da non renderla iniqua, ad esempio tenendo in considerazione la presenza di mutui gravanti sul bene».



QUALI SONO I RISCHI DI UNA PATRIMONIALE SENZA UNA RIFORMA DEL SISTEMA FISCALE

La professoressa Serena Sileoni ricorda che nel sistema tributario italiano c’è un’imposta locale sulla proprietà immobiliare, che è l’Imu, solo che non riguarda le abitazioni principali, che ne sono esenti. «Allargare le ipotesi di imposta (o aumentare l’aliquota) dovrebbe quindi implicare una diminuzione di altre forme impositive, come l’Irpef (e dei relativi trasferimenti, se l’imposta dovesse rimanere locale, come sarebbe auspicabile dati anche i servizi che con questo tipo di imposte si finanziano)», scrive la docente di diritto costituzionale sulla Stampa. Ciò sarebbe necessario «non solo per ragioni di non vessatorietà, ma anche per ragioni di equità». Sileoni evidenzia anche che i patrimoni immobiliari si formano usando ricchezze e risparmi già tassati come redditi.



«Se non si vuole tassare due volte la stessa capacità, quindi, bisogna mettere in relazione i due momenti e immaginare un’imposta immobiliare in un quadro più sistematico di revisione delle imposte, che non solo riduca altre forme di imposizione, ma che faccia emergere anche da questa imposta il gettito necessario per consentirlo, anche aggiornando il valore catastale». Ne aveva parlato anche Luigi Einaudi, indicandola «come condizione essenziale per l’introduzione di una patrimoniale». La patrimoniale, conclude Sileoni, avrebbe senso come parte di un ampio e complesso compito, quello cioè di bilanciare «il controllo della spesa da un lato e il sostegno alle forze dell’economia».