Oggi a Pomeriggio 5 è stato affrontato nuovamente il caso di Patrizia, la donna abusata e segregata in un pollaio per un mese dall’ex cognato. Legata a una branda ed alimentata solo con acqua e biscotti. Il figlio Manuel, oggi in collegamento, per molto tempo ha creduto che la madre fosse scappata con un altro mese durante il mese in cui era segregata, ma la verità era ben altra poiché la donna non solo era in uno stato di schiavitù ma era stata costretta a scrivergli una lettera in cui gli diceva che per lei era morto e che si trovava in Albania con il suo nuovo compagno. La donna, poco alla volta e grazie all’aiuto del pubblico di Canale 5, ha ripreso in mano la sua vita a partire proprio dai capelli che il suo aguzzino le aveva tagliato con delle forbici da sarta divenendo per lei anche un motivo di vergogna al punto da aver deciso di tenere un berrettino. “Ho visto la morte in faccia con quelle forbici, non riuscivo neppure a urlare”, aveva raccontato. “Ho fatto sei chilometri per scappare da quel bosco maledetto e a quel punto mi è venuta voglia di denunciarlo quell’assassino”, aveva detto in lacrime. Nelle ultime ore è stato ascoltato il suo aguzzino che, come spiegato dall’inviata di Pomeriggio 5, ha negato di averla sequestrata e violentata asserendo che la donna andava lì di sua volontà. Dichiarazioni che hanno fatto molto arrabbiare la stessa donna e il figlio Manuel che è scoppiato in lacrime in diretta mentre la madre tentava amorevolmente di rassicurarlo. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



Qui le ultime notizie e i luoghi dell’orrore dove Patrizia è stata abusata

SEGREGATA IN POLLAIO DAL COGNATO

Un racconto drammatico, sofferto, ma anche lucidissimo quello che Patrizia ha svelato in diretta tv a Pomeriggio 5 dopo l’arresto comminato all’ex cognato reo di averla sequestrata, segregata in un pollaio e violentata per oltre un mese lo scorso ottobre. Portata con l’inganno, narcotizzata e poi stuprata e minacciata in più occasioni per “farla pagare” a quell’ex marito, convinto dal fratello che quella donna fosse fuggita in Albania improvvisamente: comincia così a Pontassieve l’inganno diabolico di un uomo (arrestato), del fratello e della sua compagna (indagati dalla Procura di Firenze). «Dovevamo discutere questioni di famiglia. Mi hanno fatto entrare in roulotte e dopo il terzo bicchiere che ho bevuto ho sentito come un fortissimo sonno e la testa mi girava tutta. Mi sono svegliata il giorno dopo, mi avevano fatto la colazione e poi mi hanno chiesto di andare a prendere le uova nel pollaio: da lì è cominciato l’incubo», racconta Patrizia a Pomeriggio 5 in un lunghissimo racconto nel silenzio più totale della D’Urso e del suo pubblico. «Mi hanno frustrato sotto il seno e sopra il seno, poi mi hanno legata e hanno cominciato a tagliare tutti i capelli. Io avevo grande paura e mi sono vista la morte in faccia», si interrompe più volte piangendo la donna 53enne segregata nell’inferno più terribile che si possa immaginare.



IL CORAGGIO DI PATRIZIA E LO STUPRO PER OLTRE UN MESE

Le hanno rubato tutto, vestiti, casa, soldi e speranze: le hanno tagliato i capelli e stuprata in diverse occasioni, come facevano le peggio bestie nei campi di concentramento nazisti e nei Gulag sovietici. «Non riuscivo nemmeno ad urlare, sono stata una settimana legata a quella maledetta brandina, mi facevo pipì e altro addosso. Dopo quella prima settimana mi hanno riportato nella roulotte: mi lavano con acqua gelata, io ero lì tutta nuda, e loro mi hanno insaponato insultandomi su quanto fossi sporca», riprende il racconto la povera Patrizia, mentre l’indignazione nel pubblico è palese ed evidente, «mi hanno buttato secchiate di acqua gelata, mi hanno asciugato e rivestito: “ah Patrizia, in base a come tu rispondi, ogni risposta sbagliata più frustate avrai”, così mi dicevano in continuazione». In tutto questo, il suo violentatore andava a firmare ogni giorno in Caserma dopo l’obbligo avuto per aver commesso fatti simili nel recente passato. «Tutte le ferite che c’ho sono andate via, tranne segno al braccio e colpi all’orecchio, oltre alle violenze sessuali subite…», riporta ancora Patrizia da Pontassieve, «minacciavano mio figlio e mi violentavano: era un incubo che non finiva più. La compagna del mio ex cognato usava la mia Carta del Reddito di Cittadinanza: a mio figlio hanno fatto credere che io fossi scappata via con il vero padre (un albanese, ndr)». Ovviamente era tutto falso, ma così il figlio poteva credere perché lei fosse di colpo sparita, loro credevano in Albania; il ragazzo ai microfoni di Pomeriggio 5 confida «ci ho creduto ed ero distrutto. Ho letto la sua lettera e sembrava tutto vero… ho sofferto ma chi ha sofferto più di tutti è mia madre». Pattizia non ha più niente se non l’amore di quel figlio da cui ripartire: non è poco ma è già tutto, in attesa che la comunità di Pontassieve la sostenga anche economicamente dopo una tortura continuata come quella subita dalla 53enne fiorentina.