Una quindicina di anni fa ebbi l’occasione di intervistare Patti Smith, un’artista che amavo sin dall’inizio della sua carriera, esattamente dal suo secondo disco, Radio Ethiopia, pubblicato nel 1976 e che tutt’oggi ritengo probabilmente il suo migliore. Poi scoprì ovviamente Horses, il suo esordio, di cui mi innamorai follemente. Con il mega hit pubblicato nel 1978, Because the Night, musica di Bruce Springsteen e parole sue, Patti Smith divenne una star a livello mondiale e uscì fuori dal quel piccolo buco underground in cui era nascosta fino ad allora.
Da pochi conoscitori e amanti di culto, Patti Smith era diventata la star di fine decennio più popolare al mondo, anche più dello stesso Springsteen. Con Frederick, dell’anno dopo, ripete il successo, canzone dedicata al marito, Fred Sonic Smith, ex chitarrista di un gruppo semisconosciuto, gli MC5. Mentre celebravamo con lei la felicità dell’amore, non sapevamo che quel matrimonio ce la stava portando via per molti anni. A Firenze, in quel 1979, tenne il suo ultimo concerto per quasi vent’anni, mentre scendeva dal palco qualcuno la sentì dire “Ne ho abbastanza”.
Pubblicò un solo disco, nel 1988, ma tornò ai concerti solo dopo la morte del marito, avvenuta nel 1994, e ai dischi. Da allora non ha più smesso: “Lascia andare lo spirito dei morti e continua la tua celebrazione della vita” le disse l’amico Allen Ginsberg, mentre un suo grande ammiratore, nel 1995, Bob Dylan la convince a tornare a esibirsi dal vivo, insieme a lui. Tutto il mondo aveva bisogno di Patti Smith.
Verso la fine della mia intervista, mi lasciai andare a un commento personale, che mi uscì spontaneo e che non centrava con il tema dell’intervista stessa, che era dedicata alla sua prima mostra fotografica nel nostro paese. “Lo sai che quando ti ritirasti dopo il concerto di Firenze ci sei mancata tantissimo? Tutti quegli anni senza di te…” le dissi soffocando qualche lacrimuccia, per la gioia del suo ritorno alla musica. “Oh ma io non vi ho abbandonati mai” mi rispose sorpresa dalle mie parole, anche lei dimentica per un attimo che stava parlando con un giornalista. Eravamo piuttosto due vecchi amici che si ritrovavano dopo un sacco di anni. “Anche quando cambiavo i pannolini ai miei figli pensavo a voi. Non vi ho mai lasciati davvero”.
Oggi che Patti Smith compie 73 anni, è sempre con noi. Non esiste nella scena musicale artista che, come lei, abbia saputo creare un tale legame di comunione spirituale e umano tra artista e pubblico fino ad abbattere completamente ogni barriera. Fa meno dischi, ma pubblica quasi un libro all’anno. E’ sempre su di un palcoscenico da qualche parte, che sia un teatro, una piccola libreria, una arena, un bar.
Dopo quella intervista lessi anni dopo una sua dichiarazione in cui parlava della nascita del suo interesse per la figura di Gesù Cristo: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo’ fu una frase del vangelo di Matteo che mi colpì. Che sia stata pronunciata così tanto tempo fa per proiettare che qualcuno fosse lì per te all’infinito. Walt Whitman ne trasse una frase quando disse: ‘Giovane poeta, fra 200 anni io sono con te’. Mi piace questo pensiero. Il senso che qualcuno ti sta pensando sempre, quel senso di proiezione”. Ecco cosa ci lega a lei e lei a noi. Una comunione, una presenza che continua all’infinito e che lei ha reso reale, palpabile.
Da circa un anno Patti Smith ha una pagina su Instagram. Posta quasi ogni giorno. Non è una influencer e nei suoi post non ci sono messaggi pubblicitari. Ci sono foto di tazze di caffè quando al mattino va al bar a fare colazione, foto di amici e amiche, degli scrittori che ama, dei viaggi che fa, dei suoi libri e delle sue piccole cose. La sua vita, in comunione con la nostra. “Sono una persona comune” dice “non mi sento comune come artista. I miei obbiettivi sono alti. Ma quando parlo di cose del nostro mondo vengo da un luogo comune. I bisogni della gente comune sono i più importanti. E di cosa hanno bisogno? Hanno bisogno di cose semplici: cibo, riparo, vestiti, acqua pulita, i bambini hanno bisogno di educazione – cose semplici”. A proposito di People have the power, il brano che la rilanciò all’attenzione mondiale dopo anni di ritiro. oggi diventato una sorta di inno contro tutto e tutti, una specie di antagonismo alla Bella ciao, spiega che “Guardo i nostri governi, le nostre istituzioni religiose e le aziende farmaceutiche e quello che vedo è che il potere sembra essere l’obiettivo essenziale. Quando ho scritto People have the power non parlavo dello stesso tipo di potere. Non è l’idea del potere come dominare o avere la ricchezza. È il potere di possedere se stessi. Per essere in grado di fare le cose che si devono fare per non sentirsi sconfitti, inadeguati o indifesi”. La capacità di ritrovare il nostro Io come anima e persona in un mondo che annichilisce la nostra umanità, ci fa sentire dei perdenti se non stiamo alle regole imposte del successo a ogni costo, fa di noi una macchina che ingoia tutto quello che il mercato ci fa credere sia ciò che rende uomo un uomo. Ma non è così, è l’opposto. Dobbiamo riconquistare il potere di essere persone, ognuno unico a modo suo.
Oggi che è il suo compleanno la Smith è una donna ultra settantenne. Nonostante abbia vissuto due o tre vite, è solo all’inizio del suo viaggio. In un post su Instagram ha scritto che sua madre, fino a quando è stata viva, le telefonava la mattina del suo compleanno alle 6 e un minuto di mattina, non per farle gli auguri, ma per dirle “Sei nata”. C’è una grande differenza nel fare gli scontati auguri di compleanno, nel celebrare il presente e invece riconoscere che il giorno in cui sei venuto al mondo si ripete ogni anno. Tu ci sei perché qualcuno ti ha voluto. E allora rinasci, il giorno della tua nascita si ripete perché nella vita quell’avvenimento riaccade, continuamente: “Sei nata”.