E’ l’anno della scimmia secondo il calendario cinese. Un periodo di tempo che va da fine gennaio 2015 a fine gennaio 2016. Per Patti Smith, la narrazione (“L’anno della scimmia”, Bompiani, 278 pagine, 17,00 euro) comincia gli ultimi tre giorni di dicembre del 2015, l’usuale serie di concerti che tiene a ogni fine anno, in questa occasione al Fillmore di San Francisco, l’ultimo dei quali coincide con il suo 69esimo compleanno. In programma dopo queste esibizioni ha alcuni giorni di vacanza con l’amico di oltre quarant’anni Sandy Pearlman, leggendario fondatore e produttore dei Blue Öyster Cult, ma anche dei Clash e di tanti altri, uno dei primissimi critici rock americani esordiente sulle pagine della prima rivista rock, Crawdaddy!, insegnante di teoria e tecnica musicale presso diverse università. Sandy non si presenta. E’ stato ricoverato in terapia intensiva, rimarrà in coma per oltre sei mesi prima di morire.



Inizia qui quello che è un autentico pellegrinaggio del dolore e del ripensamento, un “vagabondaggio passivo, una tregua dal clamore, dalle grida del mondo”. Vaga tra Arizona, California, Virginia, Kentucky. Va da Sam Shepard, il drammaturgo e suo amante agli inizi degli anni 70, anche lui alla fine della sua vita, malato di Sla. Shepard sta completando l’ultimo libro, The One Inside, ma scrivere è sempre più difficile e chiede a Patti di farle da amanuense. Poi la vediamo a Lisbona, visita la casa del poeta Fernando Pessoa, poi nel suo bungalow di Rockaway Beach nel New Jersey, dove spazza la polvere, mangia spaghetti alle castagne, si siede in veranda, guarda fiori e insetti.



Patti Smith che dialoga con l’insegna di un motel (il Dream Inn, tradotto con la locanda dei sogni, che esiste veramente, come documenta la foto scattata dalla stessa Smith, come tante altre che corredano il libro e illustrano che le cose di cui parla esistono veramente): l’insegna le risponde, le parla, dialogano, la segue dalla California a casa sua a New York. Patti Smith che guarda se stessa mentre sta dormendo e non capisci se quella Patti Smith che si alza dal letto e va in cerca di un locale dove fare colazione sia quella in carne e ossa o quella sognata che sogna di se stessa. Patti Smith che dialoga con tre avventori al bar in disquisizioni psico-filosofiche, poi un giorno nel deserto mentre fa l’autostop incontra uno di loro che sta andando a unirsi a una setta che aiuta i bambini abbandonati. Lo ritroverà in un sudicio localino di New York, quasi fosse il protagonista di un libro giallo, quei polizieschi che lei ama tanto. Patti Smith che cammina sulla spiaggia di Santa Cruz e viene fermata da alcuni poliziotti accusata di aver acceso fuochi sulla spiaggia, mentre migliaia di cartine di caramelle e cioccolata sono sparse sulla sabbia. Patti Smith che chiede un passaggio in macchina a una coppia che in cambio le chiede di rimanere nel più assoluto silenzio, mentre suonano una playlist di vecchi brani rock, R&B, soul. Quando lei gioisce e non riesce più a trattenersi, la scaricano per strada. Ma lei non si arrabbia, mai. Sorride alle cose che succedono, le accetta semplicemente. Patti Smith che sogna di vivere nel retrobottega di un bar “con solo una branda, un tavolino su cui scrivere, un vecchio frigorifero e un ventilatore al soffitto” (c’è la foto che documenta quello squallido retrobottega).



Patti Smith nel Paese delle meraviglie, che più che meraviglie, come per Alice di Lewis Carroll, sono incubi.

E’ un libro misterioso, l’ultimo scritto dall’artista americana, differente dai precedenti, che richiede una particolare attenzione. E’ un flusso di coscienza dove sogno e realtà si alternano in continuazione lasciando il lettore perplesso.

Dalle cartine di caramelle, ogni cosa è un simbolo, ogni episodio accade in modo misterioso, portenti che si nascondono in luoghi inattesi, nei piccoli oggetti quotidiani, improvvisamente carichi di senso. E’ sempre stata la sua filosofia di vita, osservare la realtà, anche quella infinitesimale, e coglierne un significato. Un modo di guardare al mondo di una sorta di santa mistica che tutto accoglie e che non si arrabbia mai.

Scrivo ma mi occupo anche di fare le lavatrici” ha detto in una intervista. “Allo stesso modo, non sento una vera distanza tra fantasia e realtà, e accolgo i dolori e i momenti giocosi: ho attraversato moltissime cose difficili e tante cose belle, è il modo in cui ci si espande nella vita. Nel libro tutti questi piani sono simultanei, forse questo fa il mondo magico”. Forse è questa la chiave del libro, permettere di entrare nel profondo della mente di una artista.

Patti Smith appare però sovente triste, una vena malinconica scorre in tutto il libro, sembra essere sempre sola, stanca di contare i suoi morti. Appare quasi come una figura solitaria incline all’oblio, che si addormenta nel cappotto, che parla con oggetti muti. I fantasmi di chi ha perso – la madre, il marito, il fratello – le sono accanto. 

Patti Smith che è capace di accogliere e far suo ogni cosa più inaspettata. Il barbone fuori del centro di accoglienza che sta scrivendo sul muro “Perché Belinda Carlise  è importante”. La piccola cantante del gruppo di una stagione, le Go-Go’s. “Perché è importante?” chiede. “Perché ha il beat” risponde sussurrando il barbone. Patti Smith che torna nella sua stanza di albergo, accende il televisore e appare un vecchio video delle Go-Go’s che cantano We got the beat: “La sua esuberanza era contagiosa (…) migliaia di ragazzi e ragazze che imitano le mosse di Belinda Carlise e cantano We got the beat (…). E soldati che abbandonano le armi e marinai che abbandonano i propri posti e ladri che se ne vanno dalle scene del crimine (…) una parte di me è scesa in strada ancheggiando, è entrata in scena e si è unita al coro sempre più numeroso, come angeli di William Blake che sgorgavano dalle pagine sfogliate del libro della vita”.

L’anno della scimmia si porta via gli amici Sam e Sandy e porta “il truffatore con la parrucca gialla” alla presidenza degli Stati Uniti. “Sam è morto. Mio fratello è morto. Mia madre è morta. Mio padre è morto. Mio marito è morto. Il mio gatto è morto. E il mio cane che era morto nel 1957 è sempre morto. Eppure continuo a pensare che qualcosa di meraviglioso  stia per accadere. Magari domani”.

Il libro si conclude con un pensiero per l’Italia tanto amata devasta dal Covid durante la prima ondata. “La nostra rabbia silenziosa ci impone le ali, la possibilità di negoziare viaggi nel passato”. Ma è chiara la consapevolezza che non si può vincere il tempo con l’immaginazione. “Il problema, con i sogni, è che alla fine ti svegli”.

Ma rimane la percezione del mistero che fa tutte le cose: “La vita sconfina oltre la vita. Come in questi mesi in cui eravamo fermi a casa: in realtà potevamo avere tanti movimenti interiori, con mente aperta, immaginazione e fede”.