“È un’alleanza a geometria variabile, ma di fatto un’alleanza c’è, anche se gli interessi di medio lungo periodo sono alquanto diversi”. Russia e Cina sono già qualcosa più che partner, spiega Giulio Sapelli, economista già ordinario alla Statale di Milano, e i colloqui di questi giorni tra i loro presidenti, Putin e Xi Jinping, lo confermano.



Porteranno ad accordi economici, ma non è solo questo che hanno in comune: si vedono antitetici agli Usa: “Entrambi – continua Sapelli – si sentono minacciati dalla centralizzazione capitalistica anglosferica, ossia dalla centralizzazione americana e inglese”. E per questo hanno in mente una sorta di nuovo ordine mondiale in cui giocare un ruolo di primo piano.



Professore, come si è arrivati a questa contrapposizione tra Russia e Cina da una parte e Stati Uniti dall’altra?

La Cina è stata fatta entrare nel Wto nel 2001 (la Russia solo nel 2011) ed è cresciuta grazie al capitalismo finanziario nordamericano, tanto che è diventata concorrente degli Stati Uniti, grazie anche alla centralizzazione con il capitalismo tedesco. Dietro la questione Cina-Russia c’è ancora la questione tedesca che emerge, questa è l’ombra di Banco, il grande interlocutore assente. Ora gli americani hanno già intrapreso da molto tempo una serie di sanzioni economiche contro la Cina.



A Mosca, invece, cosa è successo?

In Russia molto è cambiato da vent’anni, da quando c’è stata la sostituzione di Eltsin, che aveva svenduto le risorse energetiche, economiche e minerarie alla liberalizzazione capitalistica. In seguito c’è stata la reazione putiniana, un po’ simile a quella che la Cina ha ora. Putin rappresentava l’ex Kgb, gli oligarchi più nazionalisti, quelli che si erano arricchiti con lo sfruttamento petrolifero ed energetico.

L’esito di tutto questo qual è stato?

Diciamo che il capitalismo di Stato terroristico cinese e il capitalismo di Stato guerrafondaio imperialista russo hanno un punto in comune, che tutti e due si scontrano con il capitalismo anglosferico. E tutti e due la pensano diversamente sul ruolo che la Germania deve avere tanto con la Russia che con la Cina. Gli americani, con le sanzioni alla Ue e alla Russia, hanno di fatto ripreso la vecchia parola d’ordine di Henry Morgenthau (segretario del Tesoro Usa durante la presidenza Roosevelt, ndr) di ridurre la Germania a un campo di patate. Non lo hanno fatto perché nella Seconda guerra mondiale sono i russi ad arrivare per primi a Berlino. Quella tra russi e cinesi è piuttosto un’alleanza contro che un’alleanza per.

A Putin comunque adesso fa comodo avere un partner commerciale che gli compri il gas che prima acquistava l’Europa.

Certamente. Poi tutti e due condividono i missili ipersonici, cosa che gli Stati Uniti non hanno. C’è questo piccolo dettaglio che si dimentica sempre: è vero che la potenza militare statunitense è mille a uno rispetto agli altri, però tutti e due assieme hanno fatto questo passo avanti tecnologico e si sono dotati di questi missili che l’Occidente non ha. La cosa interessante di Xi Jinping, però, è l’annuncio che parlerà online con Zelensky. Molto dipende da cosa farà Zelensky, se accetta questo contatto o meno.

Il piano di pace cinese per l’Ucraina, tornato in auge dopo qualche settimana, è credibile?

È credibile come tutti i piani di pace. Ha un punto fondamentale, quello della difesa della sovranità, e questo si vede che è un punto stabilito da due nazioni che si considerano imperi. La Cina dice: “Noi difendiamo la sovranità”. È sottinteso che considerano il Donbass e la Crimea zone russe. La vera differenza è che gli americani sono militarmente un impero ma pensano come dominatori, il loro dominio è senza un’egemonia, è solo militare. I cinesi e i russi si pensano ancora come un impero che abbia un’egemonia, i primi per la loro cultura millenaria, i secondi perché hanno la chiesa ortodossa. Questo è un dato che non sottolinea nessuno. La Russia si pensa come impero perché ha anche una sua Chiesa.

Bisognerà vedere se alla prova dei fatti questo piano andrà avanti o no.

Più che piano io lo chiamerei uno sforzo che va, credo, appoggiato, perché ci sia un cessate il fuoco. Credo che se gli americani avessero una visione di lungo periodo e meno aggressiva, se dietro non ci fosse quello che sostengo io, che vogliono invece demolire il capitalismo tedesco, dovrebbero dire, insieme agli europei: “Cominciamo a cessare il fuoco”. Una volta che succede questo, da cosa nasce cosa. Porsi degli obiettivi tipo fine della guerra mi sembra prematuro. Sarebbero molto importanti i corridoi umanitari, i corridoi alimentari ed energetici che hanno come base il cessate il fuoco.

Ai russi almeno inizialmente non piaceva molto questo piano, adesso invece sembrano più disponibili a prenderlo in considerazione.

Non dimentichiamo che tra Cina e Russia c’è stata una guerra, si sono combattute. Il Partito comunista cinese è nato per il Partito comunista sovietico, poi Mao si è ribellato alla Russia. La storia dei comunisti cinesi si sviluppa contro l’Unione Sovietica.

Ci raccontano che sono grandi amici, ma lo sono fino a che punto?

Vero, però hanno siglato il patto di Shanghai. Hanno in comune il controllo dell’Asia centrale e la Cina vuole il controllo dell’Indo-Pacifico. L’unica vera alleanza che c’è al mondo è quella dei Five Eyes tra Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Regno Unito, che è un’alleanza di intelligence. Le altre sono alleanze a geometria variabile.

Anche la Nato?

Be’, più geometria variabile di quella che vediamo… non avevamo la Svezia, non avevamo la Norvegia. Macron aveva detto che la Nato era in stato di morte cerebrale. L’univa vera alleanza militare è quella tra Stati Uniti e Gran Bretagna, che si è dimostrata chiarissima nella questione ucraina. Boris Johnson è stato il primo a farsi avanti: il nemico storico della Russia è sempre stata la Gran Bretagna.

Ma alla fine da questa tre giorni di colloqui sino-russi cosa uscirà?

Penso che verranno fuori degli accordi economici, penso che però i cinesi siano contrari al prolungamento della guerra, non hanno nessun interesse all’inasprimento delle relazioni internazionali. E direi che quello che ci si può spettare è una pressione su Zelensky, piuttosto che su Putin.

Pare che da parte ucraina ci sia qualche disponibilità a prendere in considerazione il piano cinese.

Sì, perché si vede che all’interno del Governo Zelensky, anzi, all’interno del gruppo degli oligarchi, cominciano a esserci un po’ di frizioni: la guerra sta impensierendo molto una parte dell’oligarchia ucraina.

Bisogna vedere anche cosa ne pensano gli americani, visto che hanno escluso di prendere in considerazione questa proposta.

Senz’altro. Ma quelle degli americani mi paiono dichiarazioni un po’ improvvide. Sarebbe stato necessario che stessero più silenziosi, mi sembra che si siano scordati che cosa è la diplomazia.

In questo contesto l’Europa potrebbe ritagliarsi un ruolo più autonomo? Finora sembra abbastanza schiacciata su quello che decidono gli Stati Uniti.

C’è uno spostamento dell’asse di potere europeo, che è quello che dalla fine degli anni Novanta auspicavano i Paesi baltici, la Norvegia e la Svezia. C’è uno spostamento del peso di potenza, anche delle marine militari della Nato, verso il fronte Nord piuttosto che verso il fronte Sud. E quindi il ruolo della Polonia e degli Stati baltici cresce sempre più. Il ruolo di Varsavia diventa di nuovo fondamentale. La Francia si è vista sfuggire di mano l’influenza che ha esercitato sulla Polonia per alcuni secoli. Adesso non l’ha più, ce l’hanno gli Usa. Diciamo che gli Stati uniti sono tornati in Europa alla grande grazie al risentimento polacco e baltico verso l’Urss.

La Polonia è forse il Paese che più sarebbe disposto a un coinvolgimento diretto nella guerra: il ruolo dell’Ue resta solo quello di fornire armi o può tentare qualcosa dal punto di vista diplomatico?

L’Unione Europea farà di tutto per non essere coinvolta direttamente nella guerra. Si è già esposta tantissimo con quello che ha fatto finora, poi ha creato al suo interno enormi contraddizioni aderendo alle sanzioni economiche contro la Russia. Il peso delle nazioni che ne fanno parte si sta spostando soprattutto verso Nord, appunto verso la Polonia, i Paesi baltici, la Scandinavia, la Svezia, che non a caso sono i nemici storici della Russia. Questo crea ancora di più la sindrome dell’accerchiamento da parte del nazionalismo russo che è un nazionalismo etnico-religioso. In Russia comanda molto di più il Patriarca di Mosca che non Putin.

L’Europa quindi resta sulla scia degli Usa, non c’è da aspettarsi un’iniziativa più decisa?

È molto difficile. Macron ha tentato di svolgere un ruolo di questo tipo, però non è stato seguito dagli altri Stati. L’Unione Europea si muove a seconda del peso relativo degli Stati. La tecnocrazia europea è molto divisa al suo interno.

Anche per questo è più difficile stabilire una linea comune?

Questa difficoltà di avere una linea comune rafforza enormemente il peso monodirezionale americano, cui si unisce il Regno Unito con una ritrovata forza militare impressionante.

Dai colloqui Xi Jinping-Putin sembra emergere la volontà di un nuovo ordine mondiale che riduca il peso degli Stati Uniti.

Un’ordine che secondo loro può svilupparsi ponendo queste due potenze a capo di questo nuovo fronte dei cosiddetti Paesi non allineati, che sono gran parte dell’umanità. Non è un disegno di dominio, ma di mettersi alla testa di un gruppo che va dal Brasile alle monarchie del Golfo, a gran parte degli Stati africani. Gli americani dopo l’aggressione all’Iraq, non approvata dall’Onu, hanno cominciato a perdere influenza ed egemonia nel mondo in modo verticale. Quello è stato un errore tragico.

I cinesi e anche i russi una influenza su una parte del mondo, ad esempio l’Africa, ce l’hanno già.

Enormemente. L’Europa non ha mai seguito la guerra civile in Siria e ne è emerso il rafforzamento della Russia e della Turchia. I russi sono arrivati fino in Libia.

Questo ordine mondiale è un po’ già nei fatti?

Sì. Non lo chiamerei ordine, lo chiamerei un nuovo terribile disordine.

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