La Commissione europea ha presentato ieri una nuova proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita che verrà discussa durante l’Ecofin in programma a Stoccolma il 29 aprile. Per venire incontro alle richieste della Germania, Bruxelles ha rivisto le proprie linee guida dello scorso novembre lasciando inalterato il percorso pluriennale (fino a un massimo di sette anni) di risanamento dei conti per i Paesi a elevato debito, inserendo, però, una riduzione minima dello 0,5% annuo del rapporto debito/Pil fino a quando il deficit sarà superiore al 3% del Pil.
Secondo il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, ora “non ci saranno più scuse” e “gli Stati non potranno più rimandare gli aggiustamenti di bilancio”. Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e presidente del Centro Studi EconomiaReale di Roma e dell’ISTAO di Ancona, ci spiega, però, che «stiamo chiamando riforma del Patto di stabilità un’ipocrisia totale. In Europa ci si sta girando i pollici di fronte a un problema enorme».
A che cosa si riferisce?
È sempre più evidente che a livello globale in atto uno scontro tra Stati Uniti e Cina e l’Europa non c’è. Non c’è dentro l’Europa e, di conseguenza, fuori dall’Europa.
Come mai l’Europa non c’è nemmeno al suo interno?
Nonostante la pandemia, nonostante la crisi energetica scatenata dal fantomatico indice Ttf di Amsterdam, nonostante il Next Generation Eu, che è stato un primo segnale di risposta comune di fronte a problemi comuni, non si è fatto poi nulla. Sembra non si sia ancora compreso che ci sono cinque beni pubblici collettivi – difesa e sicurezza, immigrazione, politica estera, politica energetica, politica industriale – che gli Stati nazionali europei non possono ormai più offrire ai propri cittadini. L’Europa deve partire da una pietra miliare economica, politica e sociale.
Quale?
Questi cinque beni publici collettivi possono essere prodotti solo da un’entità federale europea e per fornirli occorre un bilancio federale finanziato con entrate autonome. Questa è la pietra miliare che manca. È per questo che l’Europa non c’è dentro e non c’è fuori.
Torniamo alla riforma del Patto di stabilità. Cosa non la convince delle proposte finora emerse?
Se si tratta di confermare i vecchi parametri di Maastricht e dare solo un po’ più di flessibilità nell’aggiustamento dei bilanci dei singoli Stati, vuol dire che non si è capito nulla.
Perché ci sono cose che ormai non possono dipendere più dai bilanci dei singoli Stati?
Sì, quei cinque beni pubblici collettivi non possono venire dai bilanci dei singoli Stati, ma occorre un bilancio federale europeo. Ricordiamo che oggi il bilancio comunitario è pari all’1,5% del Pil di tutta l’Ue, con il Next Generation Eu si è aggiunto un altro punto, ma solo in via provvisoria. Tutto questo quando negli Stati Uniti il bilancio federale rappresenta il 25% del Pil. C’è poi un’altra cosa che evidentemente non è stata compresa in Europa.
A che cosa si riferisce?
Al fatto che dare direttive ai bilanci nazionali stabilendo il deficit consentito e la traiettoria di rientro del debito senza distinguere tra spesa corrente e spesa per investimenti significa ricadere nello stesso errore del passato. Non è che dando un po’ più di tempo per adeguarsi a parametri stupidi questi diventano intelligenti: restano comunque stupidi. Occorrono, quindi, linee guida intelligenti per i bilanci nazionali, prevedendo il pareggio di bilancio per la spesa corrente e la massima libertà di effettuare investimenti su capitale fisico, capitale immateriale e capitale umano. Il tutto certificato dalla Bce per evitare trucchi contabili.
Finora ci ha parlato di un bilancio federale, ma questo presuppone anche la creazione di una qualche forma di Governo federale…
In effetti quella attuale è un’Europa intergovernativa, mentre serve un Governo europeo che risponda al Parlamento europeo riguardo i cinque beni pubblici collettivi di cui ho parlato prima. Tutto il resto dovrebbe rimanere a livello nazionale.
L’attuale sistema va quindi accantonato…
Si tratterebbe di una normale evoluzione. Gli Stati Uniti d’America sono nati dopo una guerra civile, spero che da noi si possa arrivare allo stesso traguardo capendo dalle guerre esterne la necessità di creare subito un’Europa federale. A quel punto diventerebbe il terzo blocco tra Usa e Cina, ovviamente alleato del fronte occidentale.
In quali Paesi europei c’è veramente la consapevolezza della necessità di questo salto?
Nonostante ormai da vent’anni ripeta questi principi, purtroppo non la percepisco in nessun Paese europeo. E continuando così l’Europa rischia di essere un titolo di coda in dissolvenza nel film del XXI secolo che vede già registi e protagonisti di tutti gli altri continenti.
(Lorenzo Torrisi)
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