Il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, si è detto ottimista sul fatto che entro la fine dell’anno si possa raggiungere un accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Andranno, però, superate anche le resistenze italiane, visto che il Mef ritiene sia meglio tornare alle vecchie regole piuttosto che vararne di nuove più penalizzanti sul fronte del deficit.
Secondo Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, “è cosa buona e giusta che il nostro Governo manifesti l’intenzione di non sottoscrivere la riforma per come si sta andando delineando, ma credo che le pressioni per un accordo saranno così forti che l’Italia non riuscirà a ottenere tutto quanto è necessario per mantenere un progetto europeo credibile. Penso, quindi, che si arriverà a un compromesso, anche perché tra i Paesi conservatori ed europeisti nel senso più tradizionale del termine c’è quasi il terrore che una nuova coalizione possa rendere la politica fiscale europea espansiva e, quindi, si vuol chiudere quanto prima questa riforma del Patto di stabilità e crescita così da renderla immodificabile per i prossimi anni”.
Secondo lei, sarebbe meglio arrivare a una riforma del Patto di stabilità dopo le elezioni europee?
Non trovo molto corretto che il quadro delle regole fiscali per i prossimi 10-15 anni sia disegnato all’interno di una cornice europea che tra pochi mesi verrà probabilmente modificata dal volere dei cittadini. Ci dovrebbe essere una sorta di semestre bianco a livello europeo e le scelte sulla riforma del Patto di stabilità andrebbero rinviate a dopo le elezioni.
Come mai chiede di attendere le elezioni europee se le trattative, di fatto, sono tra gli Stati membri?
Perché la riforma andrà approvata dal Parlamento europeo e se crediamo nelle nostre istituzioni è giusto che sia quello frutto delle prossime elezioni a pronunciarsi. In questo modo saremo certi che la votazione rispecchierà la volontà della maggioranza del popolo europeo.
Tra chi esercita pressioni perché si raggiunga presto un accordo c’è anche la Bce. Cosa ne pensa?
I Governatori della Bce in qualche modo rispondono alla volontà politica dei leader, malgrado la nozione di apparente indipendenza della Banca centrale, ed è giusto così. Ricordiamo bene che Draghi potè pronunciare il famoso whatever it takes sapendo di godere di tutto il supporto di Angela Merkel. Oggi sarebbe bene che la Bce tornasse a sentire la forza di una leadership europea. Il problema è che non mi pare che Scholz sia il corrispettivo della Merkel per il prossimo decennio o che un Macron a fine corsa sia capace di portare l’Europa verso nuovi lidi. Abbiamo un’Ue, come dimostrano tutte le sue incertezze sugli scenari geopolitici mondiali, alla ricerca di una leadership che non sta emergendo. A maggior ragione, quindi, è importante che si lascino parlare le urne.
Cosa pensa dell’attuale proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita?
Non conosciamo tutti i dettagli, ma dopo la giusta controproposta della Germania rispetto a una proposta della Commissione che appariva come un golpe tecnocratico, con anche una discesa minima ma costante del rapporto debito/Pil pari all’1% l’anno, facilmente raggiungibile con dei buoni investimenti pubblici, Berlino ha poi chiesto un ulteriore rafforzamento della riduzione del deficit su Pil senza possibilità di scomputare alcun investimento pubblico: una richiesta eccessiva.
Ci vorrebbe la golden rule chiesta a suo tempo dall’Italia?
Fa bene l’Italia a chiedere che le politiche diventino più espansive con una golden rule che non può essere però limitata alle spese per il Pnrr, che poi dal 2026 non ci saranno più, o ai cofinanziamenti legati ai fondi comunitari che valgono pochissimi decimali di Pil, ma deve riguardare tutti gli investimenti pubblici. E il nostro Paese ha un’arma per far cadere la richiesta tedesca eccessiva sul deficit/Pil e far accogliere la richiesta di una golden rule: prenda un impegno credibile per una riqualificazione della Pa e della spesa pubblica, utile anche per mettere a terra il Pnrr, tramite investimenti in capitale umano della Pa.
Introducendo questa golden rule si potrebbero lasciare invariati i parametri di Maastricht?
Sì, se consideriamo un 3% del deficit/Pil senza contare le spese per gli investimenti pubblici non vedo problemi. Mi sembra che l’Italia resistendo, come fecero a suo tempo Regno Unito, Svezia e Repubblica Ceca astenendosi dal votare il Fiscal Compact, giochi un ruolo meritorio per l’Europa e per quanto possibile deve continuare a giocarlo, in attesa che l’Europa decida cosa fare di se stessa con le elezioni.
Nell’attesa bisognerà prorogare la sospensione delle regole del Patto di stabilità?
Sappiamo benissimo che tali regole non sono sospese, ma continuano a essere applicate. Ne abbiamo una costante controprova nel fatto che l’Italia prosegue nel mettere nero su bianco la volontà di portare il deficit/Pil sotto il 3% nell’arco di un triennio. Non capisco come si possa dire che viene attuata una politica fiscale espansiva come dice la Banca d’Italia. Con quale coraggio un’istituzione della credibilità e della reputazione di via Nazionale può affermarlo? Se le regole fossero effettivamente sospese e lo restassero anche nel 2024, avremmo la possibilità di fare più deficit per varare maggiori investimenti pubblici, una sorta di golden rule autonoma, ma servirebbe comunque un placet di Bruxelles che potremmo ottenere solo, come ho evidenziato più volte, con una seria spending review.
Intanto aumenta la divergenza tra le economie di Europa e Stati Uniti…
Abbiamo letto tutti l’articolo del Financial Times basato sulle dichiarazioni dell’ex premier Draghi relative al calo di competitività dell’Europa nei confronti di potenze globali come Stati Uniti e Cina negli ultimi decenni, ma una cosa che nessuno forse ha fatto notare è che il divario in termini di Pil reale che si è aperto tra Usa e Europa tra il 1973 e il 2008 è identico a quello che si è registrato negli anni successivi fino a oggi. In pratica, la velocità di perdita di ricchezza dell’Europa rispetto all’altra sponda dell’Atlantico negli ultimi 10-15 anni è raddoppiata.
Come mai c’è stata questa accelerazione?
Occorre guardare a quei fattori negativi che possono aver riguardato solamente l’Europa e non gli Stati Uniti. E proprio dal 2011 nel nostro continente abbiamo rafforzato in senso negativo quella folle costruzione fiscale che va a martoriare l’economia nei momenti di difficoltà, cosa che gli americani, come qualsiasi altro Paese al mondo, si guardano bene dall’avere.
(Lorenzo Torrisi)
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