L’Italia guidata da Mario Draghi può non solo compiere un’importante svolta verso la crescita e la transizione ecologica, ma anche avere un ruolo decisivo nel processo di modifica del Patto di stabilità e crescita, che dovrebbe prendere il via nei prossimi mesi, dopo che verrà presa una decisione sulla sospensione delle regole su deficit e debito. Ne è convinto Paolo Gentiloni, che in un’intervista alla Stampa spiega che “se negli anni Dieci il dogma è stato la stabilità finanziaria, negli anni Venti il nuovo dogma deve essere la crescita sostenibile”.
Secondo il commissario europeo agli Affari economici, “un’Italia finalmente virtuosa può spostare gli equilibri interni dell’Unione”. Per Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, quello della crescita sostenibile è un tema importante per il nostro Paese, «tenuto conto che l’inquinamento misurato in emissioni di CO2 dovuto ai consumi è superiore a quello derivante dalle attività di produzione. C’è quindi un contenuto intrinseco di CO2 nelle nostre importazioni che sarebbe bene diminuisse».
Gentiloni prefigura un cambiamento del Patto di stabilità e crescita, qualcosa che appare come epocale. Può esserci realmente una svolta di questo tipo?
Per quello che sappiamo, anche dalle dichiarazioni pubbliche, ai massimi livelli della Bce esiste una forte e convinta disponibilità a consentire una transizione morbida, ma veloce, verso un contesto produttivo che sia il più possibile coerente con una crescita sostenibile. Per realizzare la quale occorrono investimenti strutturali non solo nella produzione, ma anche, per esempio, nel patrimonio abitativo, in grado di produrre due effetti: un miglioramento della qualità dell’ambiente e dell’attività produttiva; un elevato input di conoscenza nell’attività economica
Oltre alla disponibilità della Bce serve però la volontà politica della Commissione e dei Paesi membri…
Certamente. L’importante è che si arrivi a determinare alcuni parametri in modo che siano di riferimento e non dei vincoli per quel che riguarda la politica fiscale. Un po’ come avviene per la politica monetaria, dove non solo si parla di inflazione a livelli inferiori ma prossimi al 2%, ma si specifica che ci si riferisce al medio termine.
Di fatto vanno rivisti i famosi parametri del debito/Pil al 60% e del deficit/Pil al 3%.
Si tratta di parametri che sono stati non solo un vincolo anziché opportunità, ma una trappola micidiale. I punti di partenza contano. In questo caso il 60% del rapporto debito/Pil fissato allora rappresentava il valore medio nei principali Paesi europei negli anni ’90. Si era poi ipotizzato che la crescita economica potesse negli anni a venire essere mediamente del 3%. Pertanto, se occorreva aumentare il deficit basta il 3% del Pil per mantenere il debito costante. Il problema è che fra il 2000 e il 2010 il tasso medio di crescita del Pil pro-capite è stato in Germania del 2,1% (tra i più alti), mentre in Francia dello 0,8%.
Livelli lontani dalla previsione del 3% medio.
Esatto. Come se non bastasse, dopo la crisi del 2008 si è inaugurata la stagione della austerità ritenuta espansiva. Solo a causa della pandemia questa concezione dell’austerità è stata messa da parte, o meglio momentaneamente sospesa, ma non è affatto cambiata.
Dunque non va usato lo stesso metodo, non basta aggiornare i parametri ai livelli di debito pubblico che ci saranno.
Sì, altrimenti ci condanneremo a un lungo periodo di stagnazione. Lo spirito imprenditoriale costruttivo nel nostro Paese si è un po’ indebolito, salvo alcune eccezioni: credo quindi che ci sia l’occasione di rafforzarlo attraverso la trasformazione del Paese, potendo contare sulla solidarietà europea.
Se occorre cambiare le regole, ma senza ripetere gli errori del passato, quale metodo, quale impostazione occorre seguire?
Occorre che le nuove regole siano degli orientamenti desiderabili che possono anche essere espressi in modo quantitativo, ma solo per comodità, così da poter misurare se si è o meno sulla strada giusta. E non possiamo più pensare di considerare solamente il Pil e il debito pubblico per come li conosciamo oggi.
Bisogna utilizzare anche altri parametri?
Esatto. Per esempio, la Banca mondiale da diversi anni elabora una misura per tutti i Paesi che si chiama “risparmio genuino”, che ex post è come dire “investimento genuino”, che prende in considerazione anche l’ambiente, l’inquinamento, il capitale umano, la diminuzione delle risorse naturali. Credo che occorra tenere conto non solo dei saldi di finanza pubblica, ma fare un passo in avanti verso un concetto di risparmio e investimento che guardi al futuro. Per esempio, l’Italia ha grossi problemi per quel che concerne il capitale umano non utilizzato e non valorizzato, come dimostrano i dati sulla disoccupazione di giovani e donne, il livello di inattivi o il numero dei cosiddetti cervelli in fuga. Questo è un deficit importante su cui intervenire, anche perché se i nostri talenti emigrano creano ricchezza per gli altri Paesi.
(Lorenzo Torrisi)