Le aspettative, o meglio i sogni, di una revisione dei parametri per la vigilanza delle politiche di bilancio europee (e, a maggior ragione, quelli del “parcheggio” del debito della Pubblica amministrazione italiana presso qualche agenzia europea di nuova istituzione o presso la Banca centrale europea) vanno messi definitivamente nel cassetto dopo l’aggressione della Federazione Russa nei confronti della Repubblica Ucraina.



Lo dice con grande chiarezza Nouriel Roubini, professore emerito della Stern School of Business della New York University e Presidente della Roubini Macro Associates. Roubini – ricordiamolo – ebbe una certa fama mediatica (al di fuori dei circoli accademici) in quanto predisse con accuratezza la crisi finanziaria del 2008-2009. In un paper pubblicato sul suo blog il 25 febbraio afferma senza mezzi termini che ci si avvia alla “stagflazione” a ragione dell’aumento dei prezzi delle materie prime 



«I leader occidentali – aggiunge – non possono fare affidamento sulla politica di bilancio per contrastare gli effetti di smorzamento della crescita derivante dalla shock ucraino. Per prima cosa, gli Stati Uniti e molte altre economie avanzate stanno esaurendo le munizioni fiscali, avendo tirato fuori tutti le armi in risposta alla pandemia di Covid-19. I governi hanno accumulato deficit sempre più insostenibili e il servizio di questi debiti diventerà molto più costoso in un contesto di tassi di interesse più elevati. Più precisamente, uno stimolo fiscale è la risposta politica sbagliata a uno shock da stagflazione dell’offerta. Sebbene possa ridurre l’impatto negativo sulla crescita dello shock, aumenterà la pressione inflazionistica. E se i responsabili politici si affidano sia alla politica monetaria che a quella fiscale per rispondere allo shock, le conseguenze in termini di stagflazione diventeranno ancora più gravi, a causa dell’effetto accresciuto sulle aspettative di inflazione.



Le massicce politiche di stimolo monetario e fiscale che i governi hanno attuato dopo la crisi finanziaria globale del 2008 non erano inflazionistiche perché la fonte di tale shock era dal lato della domanda, guidata da una stretta creditizia in un momento in cui l’inflazione era bassa. La situazione oggi è completamente diversa. Siamo di fronte a uno shock negativo dell’offerta in un mondo in cui l’inflazione è già in aumento e ben al di sopra dell’obiettivo. Si è tentati di pensare che il conflitto Russia-Ucraina avrà solo un impatto economico e finanziario minore e temporaneo. Dopo tutto, la Russia rappresenta solo il 3% dell’economia globale (e l’Ucraina molto meno). Ma gli Stati arabi che hanno imposto un embargo petrolifero nel 1973, e l’Iran rivoluzionario nel 1979, rappresentavano una quota ancora più piccola del Pil globale rispetto alla Russia di oggi. L’impatto globale della guerra di Putin sarà incanalato attraverso il petrolio e il gas naturale, ma non si fermerà qui. Gli effetti a catena colpiranno enormemente la fiducia globale”.

Si è ritenuto opportuno riportate un ampio stralcio delle conclusioni del lavoro di Roubini perché esprimono con grande chiarezza il contesto economico internazionale in cui situano le iniziative, per ora solo ufficiose, dell’Italia per giungere se non a una revisione almeno a una “rilettura” e “reinterpretazione” del Patto di stabilità e crescita e degli accordi intergovernativi a esso collegati. Le proposte di riforma si concentrano in larga parte sulla semplificazione delle regole, principalmente quella che riguarda il vincolo della spesa corrente e quella relativa alla sostenibilità del debito. «Queste proposte – ricorda Lorenzo Bini Smaghi in un lavoro a circolazione limitata – vanno nel senso diametralmente opposto a quello degli ultimi venti anni, durante i quali si è cercato di ridurre la “stupidità” delle regole troppo semplici del Patto di stabilità, per parafrasare l’allora Presidente della Commissione europea Romano Prodi, introducendo parametri di valutazione più ampi che consentissero di prendere in considerazione le diverse situazioni economiche».

Le proposte relative a un tetto alla spesa di parte corrente comportano la difficoltà di giungere a una classificazione e tassonomia concordata tra i 19 Stati dell’unione monetaria su cosa si debba intendere “corrente” e cosa “spesa per il futuro” (e, quindi, da poter considerare in parte come investimento) in settori come la sanità e l’istruzione. Ricordo le animate discussioni circa quarantacinque anni fa in seno alla Banca mondiale per definire cosa potesse essere “eleggibile” per il finanziamento in questi settori: vennero risolte con decisioni monocratiche (della Banca) e in certa misura arbitrarie. Non è certo la strada che si addice a un’unione monetaria tra 19 Stati sovrani. Si potrebbe adottare la proposta di Mario Baldassari formulata nel libro Italia ed Europa: si riparte, ma da dove si viene e dove si va: ciascun Stato membro mantiene le proprie regole e definizione di contabilità dello Stato, ma si attua una regola generale di grande rigore.

La seconda serie di proposte riguarda la sostenibilità del debito della Pubblica amministrazione. «L’esperienza – ricorda Bini Smaghi – mostra che le decisioni sulla sostenibilità del debito di un Paese hanno una forte componente discrezionale. Un esempio è la valutazione della sostenibilità del debito italiano effettuata nell’ambito del Rapporto di Convergenza dell’Istituto Monetario Europeo, cambiato in poche ore nella notte tra il 24 e il 25 Marzo 1997. La valutazione della sostenibilità del debito è peraltro soggetta al ben noto problema della molteplicità di equilibri. Uno shock al tasso d’interesse, ad esempio, può produrre incertezze sulla sostenibilità del debito che può ulteriormente aumentare il rischio paese con effetti di avvitamento. La pubblicazione dei dati sulla sostenibilità del debito di un Paese potrebbe innescare dinamiche di mercato che si auto alimentano».

In breve, prima di cambiare il sistema di valutazione delle finanze pubbliche di un Paese e di restringere il campo di analisi a una sola regola, bisogna essere sicuri che i vantaggi siano maggiori delle controindicazioni. Altrimenti potrebbe essere preferibile cercare di migliorare la capacità di attuazione del quadro esistente, anche in base all’esperienza acquisita. 

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