Cosa cambia per l’Italia con il nuovo Patto di Stabilità? Molto è stato scritto finora sulle molteplici novità, ma è importante anche fare chiarezza sulle implicazioni strategiche non solo per l’Unione europea, ma anche per l’Italia. Le nuove regole sono senza dubbio migliori delle vecchie, perché il ripristino del vecchio Patto di stabilità e crescita (Psc) avrebbe reso più grave l’instabilità economica europea nel caso di un’applicazione rigorosa. Le politiche nazionali di bilancio sarebbero state esposte alle tensioni dei mercati, soprattutto in mancanza di una ratifica del nuovo statuto del Mes da parte dell’Italia. Con l’accordo, spiega il Sole 24 Ore, si mantiene un equilibrio tra sostenibilità dei debiti pubblici e incentivi a riforme e investimenti. Si fissa un dialogo tra Commissione e Stati membri, ma il compromesso finale è anche un’occasione persa, in quanto viene indebolita la coerenza interna delle strategie fiscali nazionali al centro della proposta della Commissione.



Sono stati introdotti stringenti vincoli quantitativi (le salvaguardie) nel lungo periodo per soddisfare la Germania, invece è stata introdotta flessibilità nel breve-medio periodo per soddisfare la Francia e in subordine l’Italia. L’anno prossimo, dunque, gli Stati membri Ue con deficit pubblici superiori al 3% del Pil entreranno in procedura per squilibri fiscali eccessivi. Ma nei tre anni successivi l’abituale aggiustamento dello 0,5% sarà ridotto a circa lo 0,3% attraverso la temporanea esclusione dei maggiori oneri finanziari sul debito pubblico legati all’aumento dei tassi di interesse di mercato.



PATTO DI STABILITÀ, SERVE RIFORMA DEL BILANCIO UE

Dall’analisi del Sole 24 Ore emerge che la riduzione degli aggiustamenti strutturali nei Paesi ad alto debito riequilibrerà l’impatto restrittivo causato dalla reazione della Germania ai vincoli posti dalla Corte costituzionale nazionale. D’altra parte, riproporrà la contraddizione tra la propensione di alcune nazioni alle politiche espansive e gli effettivi spazi nazionali di bilancio. «La tendenza sarà aggravata dal fatto che, a regime, una delle salvaguardie quantitative delle nuove regole fiscali impone un obiettivo di deficit strutturale uguale per tutti i Paesi (1,5% del Pil) a prescindere dall’incidenza del loro eccesso di debito pubblico». L’altro risultato è che le preferenze tedesche hanno prevalso nel lungo termine con l’inserimento delle salvaguardie quantitative. Quindi, prendiamo il caso di Paesi sotto procedura con disavanzo pubblico nominale al di sotto del 3% non prima del 2027. In mancanza di congiuntura economica favorevole, le salvaguardie imporranno politiche pro-cicliche e avanzi primari di bilancio che toccheranno livelli molto alti per Paesi ad alto debito pubblico come l’Italia, soprattutto se gravati da dinamiche demografiche sfavorevoli. Di conseguenza, la portata degli aggiustamenti fiscali nazionali risulterà tanto più severa quanto più sarà stata sfruttata la flessibilità del periodo 2024-2027.



Da alcune simulazioni di Bruegel emerge la necessità di ingenti surplus primari, seppur spalmati su piani pluriennali. Sono soglie comunque minori rispetto a quelle del vecchio Patto di stabilità. Per l’Italia, la riduzione annuale di un punto di debito pubblico resta inferiore a quella fissata dalla regola, ormai cancellata, dei quattro punti. Il vincolo del deficit dello 1,5% risulta meno stringente rispetto alla vecchia regola dell’obiettivo di medio termine (Mto) che imporrebbe un avanzo pari allo 0,25% del Pil. Difficile immaginare che il Parlamento europeo introduca modifiche sostanziali nel trilogo con la Commissione europea e il Consiglio. Per superare le distorsioni dovute ai vincoli quantitativi per le nuove regole fiscali servirà, scrive il Sole 24 Ore, assicurare la stabilizzazione ciclica e produrre beni pubblici europei attraverso il rafforzamento della capacità fiscale centrale della Ue. Ma servirebbe una profonda riforma del bilancio europeo. Il primo passo potrebbe essere il ripristino della proposta di revisione di metà percorso del bilancio pluriennale della Ue.

FLESSIBILITÀ IN CAMBIO DI INTERVENTI CONCORDATI

Il nuovo Patto di Stabilità mette nero su bianco, comunque, che la Commissione godrà pure del privilegio di un potere ispettivo. La Verità cita l’articolo 34 a pagina 45, in cui è scritto che “La Commissione garantirà un dialogo permanente tra i Paesi. A questo fine, la stessa Commissione organizzerà missioni allo scopo di verificare la situazione socioeconomica e le difficoltà nella messa a terra delle regole”. Infatti, la riforma prevede l’ampliamento del ruolo dell’Efb (European fiscal board), gruppo di consulenza già formato da docenti europei, che sarà rinnovato ogni tre anni, ma su scelta della Commissione. Sarà un ente certificatole dei progressi degli Stati nel rientro del debito e del deficit, ma potrà anche fornire consigli e suggerimenti pratici.

Secondo La Verità, Consiglio e Commissione avranno un ruolo sempre più politico, accompagnando ogni governo nella stesura dei Def, delle manovre e nei programmi di lungo termine. Pertanto, rischiano di ridursi i margini di spesa delle leggi finanziarie annuali, mentre si amplieranno i piani di spesa e investimenti quinquennali su modello Pnrr. Il Patto di Stabilità serve, dunque, a rientrare dai debiti e a realizzare i grandi piani europei di trasformazione green e digitale. Ma gli Stati che non attueranno le riforme connesse a queste trasformazioni, pur dimostrando di mantenere valide le percentuali di rientro, non avranno flessibilità fiscale. Lo stabilisce l’articolo 19: “Se uno Stato membro percorre la strada dell’aggiustamento fiscale concordato, ma fallisce gli obiettivi di riforme e di messa a terra degli investimenti previsti, allora la Commissione introdurrà un percorso di tagli molto più breve”.