La riforma del Patto di stabilità non verrà discussa dall’Ecofin prima della riunione di metà giugno. Il dibattito partirà dalla nuova proposta formulata dalla Commissione europea la settimana scorsa.

Anche se, come ci spiega Massimo D’Antoni, docente di scienza delle finanze all’Università di Siena, “non ci sono novità di rilievo nella proposta di revisione delle regole fiscali ora che la Commissione l’ha formalizzata in un testo legislativo. L’impianto è quello annunciato nella comunicazione di novembre e accolto dal Consiglio europeo il mese scorso. A oggi, le critiche non sembrano aver trovato alcuno spazio”.



Ci sono invece novità rispetto al “vecchio” Patto di stabilità pre-Covid? È davvero finita l’epoca dell’austerità?

Direi proprio di no. Qui occorre essere chiari: la riforma affronta alcuni aspetti di scarsa trasparenza ed eccessiva macchinosità dell’impianto precedente e abbandona la regola del debito che, formulando un profilo di riduzione del debito del tutto irrealistico, sarebbe stata inapplicabile. Nel fare questo introduce alcuni elementi positivi, ma non segna alcun cambiamento di impostazione generale rispetto all’idea che i Paesi con elevato debito debbano conseguire elevati avanzi primari riducendo la spesa o aumentando le imposte.



In una precedente intervista aveva commentato le conclusioni dell’Ecofin di metà marzo relative proprio alla comunicazione di novembre della Commissione. Le sembra siano state prese in considerazione da Bruxelles?

Se ben capisco si riferisce alla richiesta di chiarire come verrebbe determinata dalla Commissione la traiettoria di riduzione del debito in coerenza con la quale ciascun Paese dovrà formulare il proprio piano fiscale-strutturale di medio termine. Il testo è più esplicito a questo riguardo: la richiesta è che il debito segua un plausibile sentiero di riduzione (plausibly downward path), precisando che quel “plausibile” richiama la costruzione di alcuni scenari, più o meno pessimistici, sull’andamento macroeconomico previsto negli anni successivi. La metodologia è definita, ma la sua comprensione richiede una conoscenza approfondita della modellistica macroeconomica, nonché un’accettazione della validità di tali modelli. Com’è stato per l’output gap e il saldo strutturale, questo riferimento a concetti molto tecnici rischia di essere un punto delicato dell’intera nuova costruzione normativa.



La Commissione sembra aver cercato di accogliere parte delle richieste avanzate il mese scorso dalla Germania, ma Berlino non ha espresso un giudizio positivo sulla proposta di Bruxelles. Secondo lei, perché?

La richiesta tedesca riguardava l’introduzione di ulteriori vincoli, sia nel percorso di riduzione del deficit, sia nella riduzione del debito. Sul piano della razionalità della proposta accogliere quelle indicazioni avrebbe reintrodotto quegli elementi di complessità che la revisione delle regole si proponeva di eliminare, senza però introdurre cambiamenti significativi. Per il nostro Paese i vincoli aggiuntivi proposti, in particolare la richiesta di riduzione del debito di almeno l’1% annuo, sarebbero già rispettati attenendosi alle regole riformate secondo le linee indicate dalla Commissione. Se non ho capito male, l’accoglimento parziale sarebbe la richiesta che in presenza di deficit eccessivo (oltre il 3%) la riduzione annua del deficit sia almeno dello 0,5% annuo, ma anche in questo caso si tratta di un vincolo ridondante. La natura delle richieste tedesche, il fatto che siano state accolte solo in misura marginale e che la Germania continui a esprimere malumore nonostante il consenso di altri Paesi non meno rigoristi (penso all’Olanda) sono tutti elementi che mi fanno pensare a ragioni di politica interna.

Quali?

Il ministro delle Finanze tedesco Lindner è in difficoltà. Il suo partito, i liberali, sono in crisi di consenso e lamentarsi dello scarso rigore verso i Paesi “spendaccioni” è un modo per fare propaganda a buon mercato.

Il ministro dell’Economia Giorgetti ha invece evidenziato che non è stata accolta la richiesta italiana di scomputare gli investimenti, quanto meno quelli collegati alla transizioni green e digitale. Nella proposta della Commissione manca spazio per gli investimenti?

Questo è un punto critico della riforma. Anche da questo punto di vista cambia poco o nulla rispetto alle regole precedenti. Gli unici investimenti “scomputabili” sono quelli finanziati con trasferimenti europei (nota bene: trasferimenti, non prestiti! Quindi, una parte consistente delle spese finanziate con il Pnrr andrà conteggiata). L’attuazione di investimenti, anche quando in linea con gli obiettivi europei, che comprendono la transizione “green” e la “digitalizzazione”, potrà giustificare, previa approvazione di Bruxelles, un allungamento dell’orizzonte di riduzione del debito. Insomma, l’investimento è possibile, ma solo entro i paletti stabiliti e sotto stretta sorveglianza, un po’ come sta accadendo per il Pnrr. Ben altra cosa sarebbe stata l’adozione della cosiddetta “golden rule”, ovvero l’esclusione dai vincoli delle spese per investimento, fermo restando il pareggio dei conti per le spese correnti.

Con questa proposta si mira a rendere più sostenibile il debito pubblico. Si lascia, però, abbastanza spazio per la crescita?

Nelle dichiarazioni e nelle stesse motivazioni della riforma si dichiara di voler indurre un risanamento fiscale che non sia in contraddizione con la crescita. Per la verità questo si dice da sempre e per molto tempo l’idea prevalente è stata che la spesa pubblica fosse inevitabilmente fonte di sprechi e inefficienze, per cui la sua riduzione avrebbe essa stessa incoraggiato la crescita. Questa impostazione, però, ci ha portati a una situazione in cui le infrastrutture sono carenti, la sanità è al collasso, i servizi pubblici non sono garantiti e questo si ripercuote anche sulla nostra capacità di investire e creare ricchezza. Inoltre, abbiamo visto che il debito pubblico è aumentato di più proprio nei periodi di più intensa austerità. Mi pare dunque ragionevole la critica di chi dice che la priorità debba essere data alla crescita e sarà la crescita, una volta avviata, a rendere via via meno rilevante il problema rappresentato del debito pubblico.

Quale ritiene sia il punto più critico di questa proposta con riguardo alla situazione italiana?

Ho già sottolineato nella mia precedente intervista che non mi piace la condizionalità riforme contro spazi di bilancio, che nei fatti c’è da anni, ma nelle nuove regole sarebbe per così dire ufficializzata. Alla fine, però, non è nemmeno questo il punto principale. L’esperienza di questi ultimi anni ha mostrato che, nonostante l’urgenza, abbiamo una grande difficoltà a realizzare gli investimenti necessari. Per anni non ci sono state le risorse finanziarie, ora i soldi ci sarebbero ma mancano le risorse umane. Io penso che sia l’eredità di decenni nei quali si è lasciata invecchiare la Pubblica amministrazione, si sono smantellate strutture tecniche, si è ridotta la nostra capacità di realizzare progetti a tutti i livelli. Per ripartire e ricostruire queste capacità ci vogliono tempo, pazienza, determinazione. Come dicevo, in questo momento la priorità è ricominciare a crescere. Al di là dei cambiamenti al margine, le nuove regole ci imporranno riduzioni di spesa e la mia paura è che questo lascerà poco spazio alla politica economica, a prescindere dal colore del Governo.

(Lorenzo Torrisi)

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