Entrati nell’ultimo trimestre dell’anno si sono intensificate le ipotesi riguardo le eventuali modifiche da apportare alle regole del Patto di stabilità e crescita attualmente sospese. Proprio ieri il quotidiano tedesco Handelsblatt riportava la notizia secondo cui gli economisti del Mes hanno presentato una proposta di riforma per aumentare dal 60% al 100% il parametro relativo al debito/Pil, lasciando invariato invece quello del deficit/Pil fissato al 3%. Una proposta che parrebbe in linea con quanto dichiarato da Klaus Regling la settimana scorsa a Der Spiegel. Il Direttore generale del Mes, infatti, aveva definito le regole sul debito “economicamente prive di senso”. È certamente significativo anche il fatto che queste dichiarazioni ed esclusive giornalistiche arrivino dalla Germania, Paese dove si lavora alla formazione di un’inedita alleanza di governo (Spd-Fpd-Verdi) e dove, sempre settimana scorsa, sono arrivate le dimissioni inaspettate del Presidente della Bundesbank Jens Weidmann. «Inaspettate – commenta Massimo D’Antoni, Professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena – è la parola giusta. Stando alla stampa internazionale sono dimissioni che nessuno ha ancora decifrato: disaccordo sulla linea della Bce? Motivi politici interni tedeschi? Ragioni personali, come da lui stesso indicato? Si è sentito dire un po’ di tutto, il che fa pensare che forse non dobbiamo attribuire alle motivazioni un significato particolare. Più interessante sarà capire da chi verrà sostituito nel consiglio della Bce».
Da questo punto di vista cosa si può dire?
Weidmann ha a lungo incarnato la linea dei “falchi”, coloro che si erano opposti al Quantitative easing sotto Draghi e che ora vorrebbero un’azione più energica di contrasto alla ripresa dell’inflazione. Se il nuovo rappresentante tedesco nella Bce sarà più in sintonia con la posizione della Spd o dei Verdi tedeschi, potremmo vedere rafforzata nella banca centrale la linea di politica monetaria “morbida” che abbiamo visto negli ultimi anni. In questo senso la questione viene a intrecciarsi con il confronto in atto per la formazione del nuovo Governo tedesco.
Nel programma della coalizione “semaforo” è stato inserito il mantenimento delle attuali regole del Patto di stabilità. È la conferma che tocca solo a Francia e Italia (e magari Spagna) insistere su una modifica?
Stando a quanto ho letto nel documento sottoscritto dai partiti della probabile futura coalizione di governo si esprime apprezzamento per il Patto di stabilità e crescita, che si giudica già così sufficientemente flessibile. Questa fa pensare che la Germania si stia schierando sulla linea dei Paesi cosiddetti “frugali”, che si oppongono a ogni revisione. Ma messa così l’affermazione resta generica e gli spazi di negoziazione rimangono. Le regole fiscali possono essere modificate a molti livelli: la revisione dei Trattati richiederebbe l’unanimità ed è molto difficile, ma il modo in cui le regole sono applicate e anche la scelta di aspetti tecnici (ad esempio, come misurare i valori di bilancio strutturale) possono fare la differenza. Se posso avanzare una facile previsione, non vedremo cambiamenti decisivi, ciascuno potrà tornare a casa dicendo di aver ottenuto quello che voleva: i falchi nordici diranno che il Patto è salvo, le colombe latine potranno sottolineare che le modalità di applicazione sono più favorevoli.
Come giudica le ultime dichiarazioni (anche un po’ ondivaghe) di Dombrovskis e Gentiloni sulla modifica delle regole del Patto di stabilità?
Lo prendo come un ulteriore segno del fatto che i giochi sono aperti. Dombrovskis non sbaglia quando dice che il quadro fiscale europeo può cambiare anche senza cambiamenti dei Trattati. Se i limiti del 60% del rapporto debito/Pil e del 3% del deficit/Pil sono contenuti in un protocollo allegato al Trattato di Maastricht. la «regola del debito» che impone il passo della convergenza al 60% e che tanto ci preoccupa è contenuta in un regolamento del 2011, cioè una fonte normativa di rango inferiore ai Trattati.
Che dire invece delle parole di Regling, numero uno del Mes, sulle regole relative al debito pubblico?
L’intervista di Klaus Regling a Der Spiegel è molto interessante, forse perché identificando Mr. Mes con la posizione rigorista non ci aspettavamo di trovare in lui un sostenitore della modifica delle regole. Intendiamoci, anche Regling, come i partiti della coalizione semaforo e come Dombrovskis, esordiscono dicendo che il Patto di stabilità ha funzionato bene. Ma poi Regling prosegue con un discorso di puro buon senso, affermando che le regole devono seguire il contesto economico e che il contesto economico è molto diverso ora rispetto agli anni Novanta. A cominciare dal fatto che i tassi di interesse sono bassi e questo consente di sostenere debiti più elevati, per continuare con il fatto che in questo momento serve incoraggiare, non certo frenare gli investimenti. C’è anche la consapevolezza che le “vecchie” regole sarebbero insostenibili per Paesi come l’Italia. Del resto, un’anticipazione di stampa dai giornali tedeschi di oggi (ieri, ndr) parla di un documento, redatto proprio dallo staff del Mes, nel quale si chiederebbe un innalzamento del limite del debito dal 60% al 100%.
Potrebbe essere questa una base per la riforma del Patto di stabilità?
Come dicevo, il limite del 60% è sancito in un allegato al Trattato di Maastricht e dunque una modifica richiederebbe un voto unanime. Molto più semplice, e probabilmente anche più desiderabile, puntare a modificare altri aspetti, ad esempio il passo di riduzione del debito o le modalità di calcolo del debito o del deficit. Alzare il limite al 100% e mantenere invariato tutto il resto ci darebbe un po’ di respiro, ma lascerebbe intatte tutte le criticità delle regole attuali. Questa presa di posizione del Mes mi sembra comunque un segnale significativo del fatto che il clima è un po’ cambiato.
In generale pensa che “i falchi” stiano arretrando?
Mi pare ci sia un riconoscimento, seppure implicito, che la linea dell’austerità imposta dopo la crisi finanziaria sia stata un fallimento e che la fase post-pandemia richieda regola diverse. Sulla portata del cambiamento di rotta in atto nelle politiche europee sono sempre stato alquanto pessimista, ma mi pare di vedere qualche segnale incoraggiante. Accanto ai cambiamenti nelle regole è altrettanto importante il cambiamento nel clima culturale, nel modo di vedere le cose di chi quelle regole è chiamato ad applicare.
L’ultimo Consiglio europeo ha mostrato nuove fratture tra i Paesi membri. Si può dire che alla fine sia rimasta sola la Bce a fare “politica europea”?
Nel caso, non sarebbe una novità e, trattandosi di un’istituzione che si vuole indipendente e che per statuto non dovrebbe farsi condizionare da pressioni politiche, rappresenta un paradosso e un problema.
(Lorenzo Torrisi)