Giovedì è in programma una nuova riunione del board della Bce i cui esiti sembrano poter essere interessanti per diverse ragioni. Non solo per capire se ci saranno indicazioni sui sostegni all’economia, anche con nuovi strumenti, dopo che la Commissione europea ha annunciato la sospensione del Patto di stabilità e crescita per tutto il 2022, ma anche perché si sta guardando con attenzione alle mosse delle Banche centrali riguardo “l’allarme inflazione” che si è acceso nelle ultime settimane. C’è effettivamente il rischio di un brusco innalzamento dell’indice dei prezzi? Con quali effetti? Come giudicare le recenti dichiarazioni degli esponenti di Fed e Bce sul tema. «Se la pandemia – ci dice Sergio Cesaratto, Professore di Politica monetaria europea all’Università di Siena – diventa più gestibile attraverso i vaccini e l’economia viene opportunamente stimolata, come sta facendo Biden (ma non l’Unione monetaria europea), un “pericolo” c’è».
In che cosa si concretizzerebbe?
Se riprendesse la domanda, alcuni settori come la ristorazione o le compagnie aeree ne approfitterebbero, forse, per rifarsi delle perdite aumentando i prezzi. Le quotazioni di petrolio e materie prime potrebbero anche salire. Ma non penso che ci si troverebbe di fronte a chissà quale flagello. Naturalmente, si devono salvaguardare i salari reali (e le pensioni). Ma un po’ di inflazione avvantaggerebbe i debitori, e questo aiuterebbe a uscire dalla crisi. Certo l’attesa che le banche centrali non restino inerti ha determinato un aumento dei tassi di interesse già ora, soprattutto negli Usa con i rendimenti dei Treasuries a 10 anni all’1,6%, che si sta già ripercuotendo sui mutui ipotecari (e di rimbalzo anche sui nostro Btp). La Fed, per ragioni che non mi sono ancora del tutto chiare, non ha voluto pienamente rassicurare i mercati, sebbene non credo proprio abbia intenzione di operare scelte restrittive nel medio periodo, anche per la maggiore tolleranza all’inflazione che Jerome Powell, il Presidente della Banca centrale Usa, dichiarò la scorsa estate. Fabio Panetta, membro del board esecutivo della Bce, ha invece chiaramente dichiarato che l’Eurotower reagirà ad aumenti dei tassi di mercato indesiderati.
Panetta ha in effetti detto che non vede motivi per esitare ad aumentare il volume degli acquisti e a spendere l’intera dotazione del Pepp, il programma di acquisto dei titoli di stato varato per contrastare la pandemia. Crede che assisteremo a un nuovo scontro tra falchi e colombe in seno alla Bce?
Penso che i falchi dovranno abbozzare ancora a lungo. Col debito pubblico italiano al 160% del Pil e quello di altri grandi Paesi comunque accresciuto non vedo grandi spazi per aumenti dei tassi, ammesso che in Europa l’inflazione aumenti significativamente, cosa che non credo sia all’ordine del giorno. A meno che venga il giorno in cui l’Europa che comanda non vorrà giocare la carta della ristrutturazione del debito italiano per liberarsi una volta per sempre di questo condizionamento alla politica monetaria europea. Ma in mezzo alla pandemia non è ancora venuto il tempo per farlo.
La scorsa settimana la Commissione europea ha ufficializzato la sospensione del Patto di stabilità anche per tutto il 2022. Questo vuol dire che anche la Bce dovrà portare avanti le sue politiche accomodanti forse anche oltre quella data?
Il Patto di stabilità verrà appunto ripristinato quando l’Europa che comanda riterrà opportuno fare i conti con l’Italia. A fronte del suo ripristino e della dismissione delle politiche accomodanti della Bce, all’Italia verrebbe offerto l’Omt (il programma Outright market transactions annunciato da Draghi nel 2012 col famoso discorso del whatever it takes), la garanzia del sostegno della Bce ai titoli di Stato che è però subordinato all’accettazione del Mes, probabilmente una ristrutturazione del debito pubblico che ricadrebbe sostanzialmente su banche e risparmiatori italiani. Ma scoppierebbe una mezza rivoluzione nel Paese, e la destra, che mostrerà la sua vera faccia, gestirà supinamente la situazione. La sinistra dovrebbe prepararsi a proporre un’alternativa.
Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha detto che i Paesi ad alto debito (tra cui l’Italia) dovranno “essere molto seri su come o dove spendono i loro soldi”. Questo può creare dei problemi al nostro Paese?
Soldi? Quattro soldi. Giustamente Eurointelligence faceva due conti stamattina (ieri, ndr): il Recovery Plan consiste di 200 miliardi per l’Italia, di cui 120 sono prestiti che andranno a finanziare progetti già in bilancio. 80 miliardi sono ciccia vera (sussidi europei), ma sono sborsati in 5 anni, per cui circa 15 miliardi all’anno, un decimo del crollo del Pil italiano nel 2020. Ogni singola lira, mi scusi, euro di denaro pubblico va naturalmente speso bene. Coniugare spesa efficiente e rapidità è una sfida per il Paese. In fondo anche per i miliardi già stanziati, efficienza e rapidità di spesa sono tutto. Dombrovskis è solo supponente nei suoi proclami, però il problema c’è. Che è poi quello di una classe politico-manageriale di qualità, come si ebbe nel secondo dopoguerra.
Sembrano esserci aperture alla possibilità che le regole del Patto di stabilità cambino prima del 2023. A suo modo di vedere come dovrebbero e potrebbero essere realisticamente modificate?
Idealisticamente si dovrebbe procedere verso un budget federale con compiti di controllo del ciclo economico e perequazione regionale, affiancato da una Bce collaborativa che abbia la piena occupazione come obiettivo accanto alla stabilità dei prezzi. I debiti europei dovrebbero essere messi in un qualche modo in comune, o buona parte di essi – in parte questo l’ha già fatto la Bce -, ma per l’Europa si tratterebbe di emissioni in comune (gli eurobond) in luogo di quelle nazionali. Ovviamente i bilanci dei singoli Paesi dovrebbero osservare uno stretto pareggio, i deficit li farebbe il bilancio europeo sostenuto dalla Bce, come in America insomma. Ma questo vorrebbe dire uno Stato europeo che non è all’ordine del giorno e forse non lo sarà mai. Il resto è un tirare a campare. L’Italia sopravvive solo se l’Europa accetta una stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil a qualunque livello si trovi, e i tassi di interesse sul debito pubblico italiano sono mantenuti bassissimi da una garanzia europea e comunque sotto il tasso di crescita del Pil.
La Bce sembra voler mettere in campo nuovi strumenti che facilitino la transizione ecologica e Dombrovskis non esclude che gli investimenti green dei Paesi membri possano essere scorporati dal deficit. Queste scelte aiuterebbero l’Italia?
Il problema non sono i parametri di Maastricht, ma i mercati. Questi non guardano se il debito finanzia il green, il red o il pink. Queste sono chiacchiere. Servono garanzie europee, o meglio politiche europee di investimento finanziate con eurobond e garanzie della Bce. Poi si investa dove si crede – ovviamente il green è auspicabile, ma il vero green è un cambiamento radicale degli stili di vita, il resto è fuffa. Chi rinuncia all’automobile? E chi gestisce la transizione da un’economia fondata sui consumi a una più basata su cultura e rispetto? Non si riesce a far girare molta gente con la mascherina ben indossata, figuriamoci chiederle uno stile di vita più rispettoso dell’ambiente!
Si sta parlando della possibilità che nasca un asse Roma-Parigi. Potrebbe essere un’utile sponda, visto il momento non facile delle finanze pubbliche francesi, per evitare di doverci trovare tra non molto tempo di fronte a politiche restrittive?
Dipende da Berlino. Si dice che quando Parigi vuole far ingelosire Berlino flirta con Roma. Se il Governo tedesco post-Merkel farà il prussiano con la Francia, un asse con l’Italia è possibile, anzi certo. Se Berlino farà il prussiano con l’Italia ma il galante con la Francia, com’è più probabile, l’amante italiana verrà velocemente scaricata.
(Lorenzo Torrisi)