Nonostante l’emergere della variante delta del Covid, c’è ottimismo in sede europea sull’andamento della ripresa. La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è detta convinta che entro 18 mesi tutti i Paesi membri si saranno ripresi dalla crisi. Questo rende ancora più importante la discussione che, come ha ribadito Paolo Gentiloni, riprenderà in autunno sulle modifiche al Patto di stabilità e crescita, visto che la sua sospensione non pare poter andare oltre il 2022.
A inizio settimana, in un’intervista a Repubblica, il commissario agli Affari economici ha detto di non ritenere possibile una modifica dei Trattati. “Si possono però modificare le regole sui percorsi di rientro dai debiti e le modalità di investimento rispetto alle grandi transizioni green e digitale”, ha aggiunto. Cosa può voler dire tutto questo per l’Italia? Ne abbiamo parlato con Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi.
Nell’intervista Gentiloni ha parlato a lungo anche del nostro Paese. Cosa pensa di quel che ha detto l’ex Premier?
In continuità con altre dichiarazioni rilasciate in precedenza, ha rivendicato il successo dell’iniziativa straordinaria collegata con il Next Generation Eu, ma ha anche evidenziato le vulnerabilità legate all’implementazione di questa iniziativa in Italia. Questo è un aspetto importante, perché Gentiloni ha ricordato che il nostro Paese è il principale beneficiario del programma europeo, il cui successo è intrinsecamente legato a quello che accadrà in Italia.
Quali sono le vulnerabilità di cui ha parlato Gentiloni?
La prima riguarda l’Ue e la necessità di riformare il contesto delle regole in coerenza con la logica che ha ispirato il Next Generation Eu, fondata sulla trasformazione strutturale delle economie europee verso un’economia green e digitale. La seconda pone l’accento sulla capacità di implementazione di questa iniziativa da parte italiana, per la quale non basta solo Draghi, ma occorre una base più ampia che coinvolga le forze sociali, oltre alla macchina burocratica che ne dovrà trasmettere gli impulsi a tutti i settori dell’economia coinvolti. Gentiloni ricorda anche un altro elemento di vulnerabilità dell’Italia piuttosto noto.
Quale?
Il debito pubblico. Anche se non lo dice esplicitamente, c’è il problema di garantirne la sostenibilità. Oggi l’Italia ha un livello di crescita potenziale molto basso, che si aggira intorno allo 0,6% e che con le riforme del Pnrr potrebbe anche più che raddoppiare, ma rimarrebbe comunque troppo contenuto rispetto alla mole di debito accumulato. Per questo Gentiloni richiama alla prudenza nella spesa corrente e sottolinea: “Dobbiamo scalare una vetta, non nuotare su un mare di soldi europei”. Fa poi una valutazione del contesto economico europeo che a me pare eccessivamente ottimista.
Perché?
Il Commissario cita il rischio di un rialzo dei tassi americani ed evidenzia che in Europa non c’è un pericolo legato all’inflazione. Tuttavia, uno shock dei tassi di interesse americani si andrebbe a incrociare con una politica monetaria europea ricalibrata e potenzialmente meno espansiva dato che l’Eurozona, nel suo complesso, tornerà ai livelli pre-crisi già dal prossimo anno. Chiaramente per un Paese ad alto debito come il nostro, questo rappresenta un contesto di potenziale criticità. Per l’Italia, quindi, ci può essere una stretta fiscale e una stretta monetaria allo stesso tempo. La prima determinata dal ritorno alle regole del Patto di stabilità pre-Covid.
Anche senza questo ritorno, però, come evidenziava prima, c’è la necessità per l’Italia di essere prudente sulla spesa corrente, quindi la politica fiscale sarebbe in qualche modo già restrittiva.
È vero. Come spiegavo, c’è un problema di crescita potenziale per l’Italia che verrà solo in parte risolto dalle riforme pur ambiziose del Pnrr. È necessario quindi efficientare la spesa pubblica alla luce delle fragilità della finanza pubblica italiana. Senza dimenticare la spada di Damocle del ritorno delle regole del Patto di stabilità pre-Covid, che avrebbe l’effetto di scatenare una stretta fiscale in una fase in cui l’Italia fa più fatica degli altri Paesi europei a uscire dalla crisi e in cui la politica monetaria fornirà un sostegno minore rispetto a quanto fatto finora.
A questo proposito, Ursula von der Leyen ha detto che entro 18 mesi tutti i Paesi dell’Ue si saranno ripresi dalla crisi e Jens Weidmann ha spiegato, poi, che il 2022 non sarà più un anno di crisi e che per non dover interrompere bruscamente il programma Peep sarebbe opportuno ridurre gradualmente in anticipo gli acquisti dei titoli di stato da parte della Bce. Ci sono quindi già avvisaglie del possibile cambiamento della politica monetaria nel 2022.
È proprio così. Non dobbiamo dimenticare che l’impatto della pandemia sull’economia europea è stato simmetrico, mentre l’uscita dalla crisi e il ritorno ai livelli di attività pre-pandemici sarà asimmetrico: alcuni Paesi usciranno prima di altri e l’Italia sarà in coda. Questa asimmetria dà forza ai falchi per ricalibrare a loro favore la politica monetaria che in qualche modo deve recepire l’asimmetria che sta emergendo. L’Italia rischia quindi di uscirne più vulnerabile, perché non ci sarà lo stesso supporto attuale della Bce.
Con le sue parole, Gentiloni fa capire che i Trattati non si cambieranno, ma le regole andranno riviste. Cos’ha in mente il commissario?
Tra le righe spiega che gli investimenti per la digitalizzazione e la transizione ecologica dovrebbero ricevere un trattamento diverso rispetto ad altre poste di bilancio, in coerenza con la straordinarietà del Next Generation Eu. Dopodiché richiama un concetto ampio di flessibilità, nel senso che anche se rimanessero i parametri di Maastricht, questi assumerebbero una funzione di obiettivo di lunghissimo termine verso cui tendere nell’ambito di un processo di aggiustamento più flessibile, più rispondente alle condizioni specifiche delle singole economie. Gli obiettivi rimarrebbero, ma intorno a essi verrebbe costruita una camera di flessibilità in cui si darebbe spazio alle specificità delle economie nazionali. Come sappiamo, però, il debito italiano resta sotto il faro europeo e ciò crea una debolezza per il nostro Paese nel negoziare la flessibilità sulle regole europee.
Quanto tempo ci vorrà per capire come verranno riviste le regole del Patto di stabilità e crescita?
Fino all’autunno la situazione resterà ingessata perché bisognerà attendere l’esito delle elezioni in Germania, Paese che avrà un ruolo decisivo nella riformulazione delle regole e che dovrà, anzitutto, trovare un compromesso al suo interno tra le posizioni di maggiori flessibilità e quelle invece più rigoriste sul tema. Questo equilibrio andrà a incidere su quello europeo e il rischio è che le modifiche vengano negoziate un po’ all’ultimo minuto con l’effetto di creare delle incertezze ulteriori sulla situazione italiana.
In questo dibattito è compreso anche il Fiscal compact?
Sì. Credo che quando Gentiloni afferma che i Trattati non verranno modificati si riferisca anche al Fiscal compact, che impone una serie di vincoli ulteriori rispetto ai quali sono necessarie delle reinterpreazioni coerenti con il contesto attuale.
Dunque oltre al Patto di stabilità va rivisto anche il Fiscal compact.
Il percorso di aggiustamento degli aggregati fiscali riguarda il complesso delle regole in essere, non solo il Patto di stabilità. Naturalmente anche per quanto riguarda il Fiscal compact una sua ridefinizione formale è politicamente infattibile allo stato attuale, dunque occorre riformulare un orientamento in sede europea su come applicare il complesso di regole nel mutato contesto post-pandemico.
Un contesto in cui il debito/Pil dell’intera Eurozona ha superato il 100%.
Sì, trainato soprattutto da Italia e Francia. Il riaggiustamento fiscale sarà un punto dell’agenda su cui non mancheranno controversie in sede europea e soprattutto su cui la stessa Germania avrà un ruolo fondamentale, perché, come detto, dovrà anzitutto trovare un punto di equilibrio politico nell’assetto post-Merkel.
(Lorenzo Torrisi)
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