Nella giornata di giovedì sono arrivate notizie importanti sia dall’Europa che dagli Stati Uniti. Oltreoceano, la prima stima sul Pil del primo trimestre parla di un crescita del +1,6%, al di sotto delle attese (+2,5%). Nel nostro continente, invece, la Bce, attraverso il suo Bollettino economico, fa sapere che i rischi per la crescita economica restano orientati verso il basso e che l’inflazione continua a scendere, tranne che nel settore dei servizi. In ogni caso sembra ormai scontato che a giugno possa iniziare la discesa dei tassi nell’Eurozona. Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardi, economista, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
Cominciamo dal bollettino Bce: cosa pensa delle previsioni sull’inflazione e sull’andamento dell’economia?
Il Bollettino sancisce che la riduzione dei tassi avverrà a giugno a meno di eventi avversi significativi e inattesi. Rispetto alla crescita sostanzialmente piatta registrata dall’Eurozona – e, in particolare, dalla Germania – negli ultimi mesi, gli indicatori congiunturali a nostra disposizione suggeriscono una ripresa prossima dell’attività economica e un miglioramento del clima di fiducia. Questa dinamica è trainata da un aumento del reddito reale disponibile a seguito della disinflazione tutt’ora in corso.
Il dato sul Pil Usa del primo trimestre rende più facile un allentamento dei tassi da parte della Fed?
La crescita del Pil americano nel primo trimestre dell’anno, pari all’1,6% su base annua, è stata inferiore alle aspettative di mercato. Il rallentamento è stato sospinto dalla diminuzione nella spesa per veicoli e carburante e dagli investimenti. Allo stesso tempo, il processo disinflativo ha perso slancio: l’inflazione core dell’indice PCE monitorato dalla Fed è cresciuta del 3,7% nel primo trimestre su base annua, in questo caso sopra le aspettative. Tali dati, quindi, appaiono in contrasto rispetto a un imminente scenario di riduzione dei tassi. La Fed, infatti, dà maggior peso alla necessità di consolidare la dinamica disinflativa prima di avviare la riduzione dei tassi di intervento.
Ormai si è convinti che la Bce possa iniziare a tagliare i tassi a giugno. Fino a quanto può spingersi nell’allentamento se la Fed non fa altrettanto o se addirittura, come qualcuno paventa, aumentasse i tassi?
L’asincronia nel ciclo di riduzione dei tagli spingerà la Bce a essere particolarmente prudente nella frequenza ed entità dei tagli così da mitigare l’impatto sul differenziale dei tassi di interesse col dollaro e la conseguente svalutazione dell’euro che, a parità di altre condizioni, è inflativa, poiché i prezzi delle materie prime sono quotati in dollari.
Nei giorni scorsi in Italia si è tornati a parlare della riforma del Patto di stabilità. Cosa pensa delle polemiche politiche sul voto dei partiti di maggioranza all’Europarlamento visti come un atto di sfiducia nei confronti di Giorgetti?
La maggioranza ha voluto dare un segnale chiaro sul metodo con il quale si è arrivati ad approvare questa riforma con Francia e Germania che hanno presentato l’accordo finale come un fatto compiuto. Sulla sostanza, poi, la clausola secondo cui i Paesi ad alto debito lo debbano ridurre, in rapporto al Pil, di un punto percentuale l’anno pare già disattesa. Nelle previsioni del Fmi, di recente divulgate, tale rapporto addirittura cresce di più di un punto all’anno sia per l’Italia che per la Francia.
Gentiloni ha ricordato che la riforma del Patto di stabilità rappresenta un compromesso non perfetto, ma “indubbiamente migliore delle regole esistenti”, soprattutto perché “rafforza gli incentivi per gli investimenti pubblici”, definisce “un percorso credibile per la necessaria riduzione del debito” e “garantisce che gli Stati membri abbiano la responsabilità delle loro politiche fiscali, all’interno di un quadro comune europeo”. Cosa ne pensa?
Il Commissario Gentiloni si riferisce al percorso pluriennale di aggiustamento fiscale che indubbiamente rappresenta un elemento di novità importante nella versione riformata del Patto. Gli elementi di tensione, invece, riguardano quelli successivamente aggiunti alla proposta originaria della Commissione come i paletti numerici che sembrano obiettivamente difficili da raggiungere se non a costo di spingere due delle tre principali economie dell’Eurozona in piena recessione. Detto questo, la stabilizzazione fiscale va comunque e in ogni caso perseguita, soprattutto nel caso dei Paesi ad alto debito.
A inizio settimana l’Istat ha fatto sapere che il 2023 si è chiuso con un deficit/Pil al 7,4% e non al 7,2% precedentemente previsto. Come farà il Governo a ridurre il deficit/Pil come previsto già nell’ultima Nadef e a trovare le risorse per la proroga del taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote Irpef?
Purtroppo, occorre fare i conti con gli effetti perversi del Superbonus. La situazione particolarmente sfidante, tuttavia, dovrebbe fungere da sprone per riforme ancora più aggressive. Dall’altro lato, l’Europa dovrebbe facilitare una riduzione del deficit più graduale visto che ha scoperto le implicazione fiscali del Superbonus solo da quando il Governo Meloni si è insediato.
Secondo Bankitalia, il Superbonus andrà fatto terminare prima della scadenza se l’ultimo decreto del Governo dovesse fallire. Cosa ne pensa?
Personalmente sarei in favore di interventi che distribuiscano l’onere fiscale su un periodo di tempo più ampio e rafforzino gli incentivi a identificare violazioni nella compliance della normativa. Detto questo, però, rimane il problema di dove erano tutti questi esperti fino a qualche tempo fa. Il Superbonus ha distrutto lo spazio fiscale di questo Governo, in particolare a danno dei gruppi sociali meno abbienti che saranno maggiormente danneggiati dal ridotto spazio fiscale nei prossimi anni.
(Lorenzo Torrisi)
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