La Commissione europea ha presentato le linee guida fiscali per il 2024le linee guida fiscali per il 2024, anno in cui tornerà in vigore il Patto di stabilità (le cui regole sono state sospese dal 2020 a causa della pandemia), ma riformato. In tal senso Bruxelles ha già presentato in autunno la sua proposta che verrà discussa dall’Ecofin già dalla prossima settimana. In attesa delle raccomandazioni specifiche che arriveranno a maggio, Valdis Dombrovskis ha però anticipato che queste saranno “quantificate e differenziate in base al debito pubblico di ciascun Paese”.
Il vicepresidente della Commissione ha aggiunto che “in questo momento è vitale mantenere un’ancora di stabilità macroeconomica e finanziaria. Ciò significa garantire finanze pubbliche solide in tutti gli Stati membri dell’Ue”. Secondo Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, la presentazione di queste linee fiscali «mette in luce i rapporti di potere all’interno degli organi decisionali europei. È una sorta di braccio di ferro in cui la Commissione, con questa mossa, cerca di orientare e accelerare le decisioni del Consiglio europeo, che rimane l’unico organo politico rilevante per le decisioni e per il futuro del continente».
In che direzione la Commissione vorrebbe orientare le decisioni del Consiglio?
Da tempo la Commissione sostiene che siamo entrati, a seguito della pandemia, in una nuova era che richiede nuovi strumenti, ma di fatto porta avanti proposte che erano state già presentate, prima del Covid, dallo European fiscal board e che Bruxelles ha fatto proprie e che vorrebbe ottenessero anche il via libera del Consiglio europeo.
Parlare di braccio di ferro e rapporti di forza presupporrebbe l’esistenza di una proposta chiara anche da parte del Consiglio europeo, ma non sembra ce l’abbia…
Deve immaginare due sfidanti, uno distratto con il braccio ancora steso sul tavolo che si sta preparando e l’altro che immediatamente gli afferra la mano e mette sopra il suo braccio pronto a dichiararsi vincitore. Sta avvenendo esattamente questo: la Commissione ha fatto una mossa preventiva, ha giocato d’anticipo riducendo le possibilità di reazione del Consiglio, il quale avrebbe tutto il diritto di presentare proposte alternative. Non dobbiamo dimenticare, tra l’altro, che per l’approvazione è richiesta l’unanimità. Penso, quindi, che l’Italia abbia il dovere di comprendere se le proposte della Commissione vanno incontro alle sue esigenze o se invece la mettono in maggiore difficoltà. In quest’ottica mi sembra importante guardare a come la Commissione stessa valuta l’attuale situazione degli Stati membri.
Qual è la valutazione di Bruxelles?
Nelle linee guida si parla di un’economia europea in salute dato che quest’anno si dovrebbe evitare la recessione e si dovrebbe registrare una crescita del Pil dello 0,8%. A mio avviso, se cominciamo a ritenere di avere un’economia in salute perché probabilmente verrà evitata la recessione diventeremo un continente con mediocri aspettative e privo di sogni per il futuro. Detto questo, il nostro Governo dovrà decidere se l’attuale quadro economico consente di tornare a politiche non espansive, ma credo abbia tutto il diritto di evidenziare che l’Europa e l’Italia si trovano in un contesto in cui la politica economica non può disattivarsi o attivarsi solo secondo logiche che non sono favorevoli alla crescita.
Resta il fatto che a fine anno verrà disattivata la clausola di salvaguardia che ha sospeso le regole del Patto di stabilità…
Questa clausola indubbiamente ci ha permesso nel 2020 di raggiungere dei livelli di deficit/Pil che hanno consentito all’economia italiana ed europea di sopravvivere, ma quello è stato l’unico anno in cui è stata realmente attiva, perché di fatto in seguito le regole del Patto di stabilità sono rimaste in vigore in diversi modi e in Italia abbiamo visto rimanere preponderante un contesto austero. Per fare un paio di esempi, tutti i piani triennali presentati a Bruxelles sono stati di estrema riduzione del deficit/Pil, riduzione che è anche tra le condizioni previste dal Pnrr. La logica del Fiscal compact, quindi, non ha mai cessato di esistere. Ora c’è una proposta per un’ulteriore stretta, una logica che l’Italia non può accettare. Ritengo, pertanto, che al tavolo relativo alle decisioni sulla nuova governance economica europea, il nostro Governo non dovrebbe escludere di esercitare il diritto di veto.
Perché bisognerebbe arrivare a così tanto?
Nelle linee guida la Commissione europea invita ogni Stato membro, in questa fase di limbo che precede l’entrata in vigore del Patto di stabilità riformato, a seguire degli orientamenti che aumentano il potenziale deflagrante politico per il nostro continente, perché incrementano i divari interni.
In che modo?
Di fatto viene compiuta una distinzione tra Stati membri di serie A e di serie B, in base all’esistenza o meno di problema di debito o persino di un alto rapporto di debito. Vorrei ricordare che formalmente non si ha un problema di debito, ma semmai un problema di rapporto debito/Pil, così come non esiste un rapporto di debito alto, ma casomai un alto rapporto debito/Pil. Sta di fatto che la Commissione, in questo suo nuovo linguaggio con cui definisce i Paesi membri, focalizza la sua attenzione soltanto sulla parola debito. Questo vuol dire che ci si concentrerà sullo stato della contabilità di un Paese e non sulle condizioni della sua economia. Si tratta di una visione che ci ha già portato negli anni passati a compiere scelte che hanno avuto come risultato finale quello di aumentare il rapporto debito/Pil. E non è tutto.
Cosa c’è d’altro?
Mentre si chiederà agli Stati membri deboli di attuare politiche che li indeboliranno ulteriormente, cioè politiche che mirano a ridurre il debito tramite austerità, ai Paesi considerati “sani” perché con basso problema di debito sarà concesso di attuare tutte quelle politiche, soprattutto relative agli investimenti pubblici, che permettono di crescere e quindi abbattere il rapporto debito/Pil. È così che aumenteranno i divari interni. E per essere sicuri che non ci siano Paesi membri refrattari all’austerità, la Commissione raccomanda di adottare sanzioni finanziarie e soprattutto reputazionali. Mi dica lei se c’è al mondo un’unione dove si usa lo stigma della vergogna per rimanere insieme. Siamo arrivati a dei livelli di appropriazione indebita della politica economica e della democrazia che fanno letteralmente paura. Detto questo, se la Commissione invita caldamente gli Stati membri a seguire raccomandazioni che ancora non sono state approvate, io invito caldamente il Governo italiano a non accettare tale invito.
Come ricordava prima, queste linee guida precedono l’entrata in vigore di un Patto di stabilità riformato. La Commissione ha già presentato la sua proposta in merito e il Governo italiano ne ha espresso una valutazione tutto sommato positiva, soprattutto perché viene meno la regola sul debito.
Mi vien da ridere perché questa regola del debito è come se non fosse mai esistita. Non è mai stata applicata perché irrealistica e di fatto insostenibile, come è stato riconosciuto recentemente anche da alcuni dei Paesi del Nord. Di fatto, quindi, nella riforma del Patto di stabilità viene tolto qualcosa che già era stato levato dalla mente di tutti, non c’è nessun vantaggio reale. Di concreto abbiamo invece una definizione dell’Italia come Paese “cattivo”, per via del suo livello di debito pubblico, che ci obbliga a rinunciare a tutta una serie di politiche, in particolare a investimenti pubblici che sono ovviamente anche in parte nella spesa corrente.
Perché parla di investimenti contenuti nella spesa corrente?
Perché spendere per migliorare la Pubblica amministrazione, aumentare gli stipendi degli insegnanti, fare in modo che siano rispettati i diritti di chi è in carcere rappresenta un investimentio in capitale umano che rendoe il Paese più vivibile, sostenibile, stabile. Tutto questo sarà reso impossibile a noi, ma non ai quei Paesi già definiti dalla Commissione come virtuosi perché con un basso problema di debito. Quelle proposte dalla Commissione sono regole che rendono le crisi più probabili, mentre dovrebbero renderle meno probabili facendo capire a tutti che quando un Paese è in difficoltà deve poter godere di un’enorme autonomia e gestire la propria situazione interna ampliando il deficit e convincendo i mercati della bontà delle sue proposte per uscire dalla crisi. È ovvio che tutto questo per l’Italia presuppone la madre di tutte le riforme con cui si migliora la qualità della spesa. In questo senso sarebbe utile se la Commissione ci ricordasse quando spendiamo male spingendoci a concentrare la spesa, anziché tagliarla, su altri settori che hanno più bisogno. Purtroppo questo tipo di supporto non lo abbiamo mai avuto da Bruxelles, nemmeno con il Pnrr.
Un aspetto che sembra essere positivo per l’Italia è il fatto che le valutazioni della Commissione verranno realizzate sulla base della spesa primaria netta. Cosa ne pensa?
Nelle linee guida si dice che il concetto di spesa primaria netta usato durante il periodo di attivazione della clausola di salvaguardia sarà corretto in modo da comprendere non solo la spesa corrente, ma anche quella per gli investimenti. Di fatto, quindi, il controllo della Commissione verrà esteso anche agli investimenti e il singolo Stato sarà meno libero anche su questo fronte. Tutto questo in contraddizione con l’enfasi posta dalla Commissione sull’importanza degli investimenti pubblici, che del resto sono stati sempre martoriati dalle politiche europee tramite la richiesta di tagli alla spesa.
Secondo lei, l’Italia può avere la forza per mettere in luce tutti i limiti della proposta di Bruxelles e chiedere che sia cambiata?
Non dobbiamo dimenticare che l’Europa ha bisogno di un’Italia forte. E il nostro Paese può esserlo solo con politiche fiscali espansive e una grande qualità della spesa. Il Governo deve capire che si gioca una battaglia per il futuro, il progresso e la stabilità del Paese. Ed è evidente che dovrebbe essere il presidente del Consiglio in prima persona a condurla. Spero e mi auguro che data la passione e la capacità di resistere a pressioni esterne che la caratterizza capisca che in ballo c’è anche la capacità della coalizione di governo di poter resistere agli anni grazie al fatto di essere riuscita a sospingere il Paese fuori da una crisi che dura da un ventennio, a differenza di tutti i Governi che si sono nel frattempo succeduti.
(Lorenzo Torrisi)
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