Una caratteristica della razionalità umana è l’apprendimento attraverso l’esperienza. L’uomo è un animale razionale soggetto a errore, il quale nasce da un’insufficiente informazione, da un’inadeguata valutazione dell’informazione disponibile oppure da un’inadeguata stima della relazione causa-effetto per la quale l’azione che decidiamo di attuare produce risultati subottimali, se non di segno contrario, rispetto a quelli da noi desiderati e previsti. Ma l’uomo, in quanto animale razionale, è in grado di valutare gli errori commessi e di adottare tutti gli accorgimenti necessari per evitare che si ripetano.
Il fatto che le conseguenze degli errori ricadranno su di lui e diminuiranno il suo benessere è un ottimo incentivo a indurlo a cercare di non commetterli e a correggerli nel modo migliore e più rapido possibile quando non è stato in grado di evitarli. Il decisore umano eviterà in conseguenza, di fronte a un problema che si ripete identico, di adottare un’identica soluzione che in passato ha dimostrato di non funzionare.
Si può dire altrettanto di un decisore burocratico? La burocrazia per Max Weber è razionalizzazione, tuttavia sino a che punto? Le burocrazie sono decisori su vasta scala i quali agiscono in base a regole consolidate, realizzando azioni standard conformi alle regole per ogni condizione per la quale esse sono state predisposte. In sostanza applicano soluzioni standard per ogni problema standard per il quale esse sono state predisposte.
Cosa accade tuttavia quando si manifesta un problema nuovo per il quale non è stata predisposta ancora alcuna regola oppure risulta evidente che la regola individuata non produce effetti oppure genera effetti opposti a quelli desiderati? In questi casi conviene di sicuro non legarsi a una regola rigida, bensì adottare un comportamento specifico di fronte a una situazione che appare non standard e in ogni caso evitare di insistere con presunti rimedi che si sono già dimostrati fallimentari in occasioni precedenti analoghe.
L’Unione europea in quanto apparato decisionale burocratico rispetta gli ovvi criteri appena esposti? Se dobbiamo valutare in base all’accordo sul nuovo Patto di stabilità si direbbe proprio di no. Non possiamo pertanto criticare i parlamentari europei che rappresentano l’Italia per il fatto che nella loro quasi totalità non lo abbiano votato. Il miglior interprete della Commissione europea resta Albert Einstein quando sostenne che “Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”. Dopo il biennio recessivo 2008-09 e l’anno di transizione 2010 in cui aveva iniziato a manifestarsi un certo recupero, la Commissione Ue impose un drastico percorso di rientro dagli elevati rapporti disavanzo/Pil e debito pubblico/Pil a cui erano arrivati diversi Paesi, in particolare del Sud Europa, per far fronte con provvedimenti espansivi di finanza pubblica alla conseguenze della recessione.
La stretta fiscale conseguente, iniziata nell’estate 2011 dal ministro dell’Economia Tremonti e proseguita senza tentennamenti dal Governo Monti, avrebbe dovuto in teoria riportare l’Italia al pareggio di bilancio nell’arco di un biennio. In realtà generò una seconda recessione, in questo caso totalmente autoprodotta, che ebbe limitati effetti riduttivi del rapporto deficit/Pil, non superiore a quanto si sarebbe verificato in sua assenza, ed effetti invece consistenti in termini di caduta del Pil reale. In particolare:
– tra il secondo trimestre 2011 e il primo trimestre 2013 il Pil reale è diminuito di oltre 5 punti percentuali e una debole crescita è riapparsa solo nel corso del 2015;
– sino a tutto il 2019, dunque otto anni dopo la stretta fiscale europea sull’Italia e alla vigilia della recessione da covid, il Pil reale dell’Italia si trovava ancora sotto il livello del II trimestre 2011 per circa un punto percentuale;
– solo nel corso del 2022 quel livello risulta essere stato integralmente recuperato, dopo 11 anni esatti;
– nel corso di questi 11 anni i Paesi dell’Euro area, Italia inclusa, sono cresciuti del 14% in termini reali;
– nel periodo recessivo 2011-13 il rapporto debito/Pil, per arrestare la cui crescita tutta la manovra era stata imposta, è invece aumentato a causa della recessione a velocità più che doppia rispetto al periodo 2008-10 in cui aveva subito gli effetti della recessione internazionale.
In sostanza la stretta fiscale anziché arrestare la crescita del rapporto debito/Pil, fattore chiave per temere che il debito possa divenire insostenibile, l’ha moltiplicata per almeno due.
Non sappiamo al momento con quali parametri precisi e in quanto tempo si applicherà il nuovo Patto di stabilità, ma è il caso di prestare molta attenzione affinché le vicende del 2011-13 non abbiano a ripetersi. Quel salasso ci ha fatto mancare un sesto del Pil e le entrate fiscali che esso avrebbe apportato. Non solo, da allora la strada della nostra crescita economica sembra aver deviato in maniera permanente da quella del resto dei Paesi che condividono con noi la moneta unica.
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