Il nuovo Patto di stabilità è stato approvato. Dopo oltre 15 ore di discussione, i negoziatori del Consiglio e del Parlamento Ue hanno trovato l’accordo sulla riforma della governance economica che avrà un impatto sul nostro budget fiscale per i prossimi trent’anni. Sebbene sia un passo in avanti, ci sono aspetti che non possono essere sottovalutati. All’inizio del processo di formazione delle strategie di bilancio, la Commissione europea presenterà una «traiettoria di riferimento», che prima era chiamata «traiettoria tecnica», agli Stati il cui debito pubblico supera attualmente il 60% del Pil o il cui disavanzo pubblico supera il 3% del Prodotto interno lordo. La traiettoria di riferimento indicherà come i governi potranno garantire che il debito pubblico finisca col trovarsi su una traiettoria «plausibilmente discendente o rimanere a livelli prudenti nel medio termine».



Come evidenziato dalla Verità, alla luce della traiettoria di riferimento, gli Stati membri incorporano il percorso di aggiustamento dei conti pubblici, espresso in qualità di «percorsi di spesa netta» quantificata nei loro piani strutturali di bilancio. I piani, così come i percorsi di spesa netta, andranno approvati dal Consiglio. Il nodo riguarda l’obbligo degli Stati membri che, in base alle nuove regole, dovranno assicurare gli investimenti nelle aree prioritarie Ue quali transizione climatica e digitale, sicurezza energetica e difesa.



NUOVO PATTO DI STABILITÀ: COSA CAMBIA E I RISCHI

Gli investimenti già fatti devono essere presi in considerazione dalla Commissione Ue quando dovrà fare il punto sulle deviazioni dal percorso di spesa. In questo modo, ha fatto sapere il Parlamento europeo, «sarà dato più spazio al governo per argomentare la propria causa per non essere sottoposto a una procedura per disavanzo eccessivo». Questo vuol dire in altre parole, spiega la Verità, i binari delle macro riforme – dal green al digitale, così come welfare e pensioni – saranno decisi da Bruxelles. Le modalità di attuazione saranno condivise, visto che con questo schema di stabilità fiscale ci saranno dal 2027 altri Pnnr o piani europei di investimento. Dunque, cambieranno i nomi, ma non la sostanza della pianificazione. Quindi, il Patto di stabilità serve a rientrare dai debiti e realizzare i grandi piani europei. Gli Stati che non attueranno le riforme connesse a tali trasformazioni, pur dimostrando di confermare le valide percentuali di rientro di deficit o debito, non vedranno concessa la flessibilità fiscale.



Il testo è chiaro: «Se uno Stato membro percorre la strada dell’aggiustamento fiscale concordato, ma fallisce gli obiettivi di riforme e di messa a terra degli investimenti previsti, allora la Commissione introdurrà un percorso di tagli molto più breve». Fuori dalla pianificazione resta poco. Gli interessi sul debito, restando in carreggiata, e gli elementi ciclici della spesa per i sussidi di disoccupazione non verranno considerati nel calcolo della spesa pubblica. Per la Verità, si spiegherebbe così la spinta europea al Reddito di cittadinanza, visto che il modello di lavoro immaginato a Bruxelles continuerà a prevedere sussidi e accessi alla produzione con buste paga sempre più basse. Di fatto, il rischio è che i governi debbano limitarsi a gestire la manovra.