Dopo il periodo del Covid, durante il quale per necessità era stato sospeso, l’incubo del Patto di stabilità torna a pesare sulle economie dei Paesi Ue. Non per niente l’Italia, e non solo lei, gradirebbe politiche meno rigide da parte dell’Unione Europea per poter gestire al meglio una fase comunque difficile e cercare di garantire anche lo sviluppo del Paese. La Francia potrebbe appoggiare l’Italia da questo punto di vista? Ha interesse a chiede un approccio più benevolo da parte della Commissione europea?



Secondo Francesco De Remigis, esperto di questioni francesi, di cui si occupa, tra gli altri, per il Giornale, in linea di principio Francia e Italia hanno la stessa necessità, anche se gli argomenti che porteranno in Europa per sostenere le loro richieste sono diversi tra loro. In sostanza hanno un obiettivo comune ma ognuno lo perseguirà a modo suo. E quello che conterà sarà soprattutto l’approccio di ogni singola nazione nella trattativa con Bruxelles.



La Francia può far da sponda all’Italia per chiedere all’Europa criteri meno rigidi in merito al Patto di stabilità?

I temi credo siano due. Uno è legato a una certa italianizzazione dell’approccio francese ai conti pubblici, per cui la Francia si è accorta che per tornare a crescere, dopo il Covid e dopo gli investimenti per la Difesa, è controproducente tornare ai vincoli antecedenti alla sospensione del Patto di stabilità. D’altra parte io non parlerei di una sponda francese: nella recente intervista che ha rilasciato al Corriere, Laurence Boone, che è la ministra francese più consapevole di quelli che sono i conti pubblici, in quanto economista, ha detto che ogni singolo Stato dovrà confrontarsi con la Commissione europea.



Cosa ha voluto dire con questo?

Ha un po’ messo le mani avanti: ha riconosciuto la necessità di trattare sul Patto di stabilità, ma all’interno di questa trattativa ogni Stato deve esprimere una sua posizione. Poi c’è comunque una convergenza di vedute tra Italia e Francia, ma anche con gli altri Stati del Sud, come la Spagna e la Grecia, e quindi una possibile collaborazione al tavolo europeo in chiave non tanto antitedesca, ma di appeasement verso una Germania storicamente più attenta verso i conti pubblici.

Su cosa verterà soprattutto la trattativa con Bruxelles?

La discussione si giocherà non tanto sulle ipotesi di alleanze tra Parigi e Roma: l’approccio è più individualista, diverso dal passato. Ogni Stato ha esigenze e approcci, politici e tecnici, diversi su alcune questioni. Dall’energia all’industria ognuno ha i propri interessi. L’Italia dovrà argomentare cercando di far capire che questo nuovo Patto di stabilità deve avere dei margini di flessibilità per portare avanti le riforme e far tornare a crescere il Paese in determinati settori. Su questo Francia e Italia sono in sintonia per quanto riguarda le linee di principio ma anche abbastanza distinte per quanto riguarda le argomentazioni.

Ma l’economia francese in questo momento come è messa? Perché la Francia avrebbe bisogno di politiche meno restrittive da parte dell’Europa?

In Francia il rischio di recessione non è all’orizzonte, però c’è un grosso problema legato all’inflazione. È il tema centrale. Soprattutto quella legata ai beni alimentari non è stata risolta e le previsioni non preannunciano niente di buono. La gente deve fare la spesa con gli stessi stipendi che ha avuto negli ultimi anni: in qualche modo il governo deve cercare delle soluzioni, rivolgendosi, come ha già fatto in parte, alla grande distribuzione, calmierando i prezzi. E queste soluzioni sono costose. Tuttavia il capitolo più ampio di spesa degli ultimi mesi è stato quello legato alla Difesa. Su questo l’Italia può andare a braccetto con la Francia, cercando di scorporare alcune tipologie di spese comuni da quello che è il Patto di stabilità. Parigi però ha modi di trattare con Bruxelles diversi da quelli di Roma, più convincenti.

Se avessero più libertà di azione da parte dell’Europa i francesi la userebbero principalmente per contrastare l’inflazione?

In parte credo di sì. Anche se l’inflazione la stanno già combattendo per conto loro. Poi ci sono tutta una serie di investimenti che riguardano la reindustrializzazione del Paese. La Francia, anche da prima della guerra, ha cercato di riportare in patria la produzione delocalizzata all’estero, in Cina e in altre zone del mondo, ricreando dei poli industriali. Quindi c’è un altro sostegno molto costoso, che riguarda il settore agricolo. Alcuni impegni sono stati presi e sono stati stanziati soldi, ma c’è una prospettiva di medio termine per arrivare a ricreare una filiera come quella alimentare che la Francia aveva perso negli ultimi anni.

Uno sforzo notevole per il quale c’è bisogno dell’aiuto dell’Europa?

La Francia vuole riguadagnare posizioni e per farlo sta mettendo in campo ingenti risorse che vanno messe a bilancio. E se investi, poi non puoi avere una Commissione europea che ogni settimana viene a farti le pulci su questi investimenti. C’è stata una italianizzazione in linea di principio dell’approccio francese: la spesa non è tutta uguale, quella produttiva, quella che serve a creare lavoro, a creare struttura produttiva per tornare a far crescere il Paese, è spesa utile. Un po’ quello che diceva l’ex premier Draghi.

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