Jerome Powell ha spazzato via le ultime illusioni: la strada da percorrere per il ribasso dei tassi è ancora lunga e incerta. Prima, salvo incidenti di percorso, sarà necessario un intervallo di sei mesi o giù di lì per spegnere le tensioni che continuano a pesare sul costo del denaro. Solo dopo, salvo lo scoppio di una violenta recessione (per ora non prevista negli Usa), si entrerà nella stagione dei tagli.



Il segnale in arrivo da Washington è, al solito, destinato a diventare le legge anche per l’Europa. È molto probabile che l’aumento dei tassi sia ormai alle spalle nell’Eurozona, a fronte di una congiuntura assai meno brillante. Ma i margini di manovra sono comunque ridotti, a fronte della debolezza nei confronti del dollaro e della concorrenza crescente dei titoli del debito pubblico Usa.



È questa la situazione che il Tesoro italiano deve fronteggiare per assicurare il finanziamento del debito pubblico, superiore al 140% del Pil. In cifre, la voragine che Giancarlo Giorgetti deve fronteggiare si presenta così: l’anno prossimo l’Italia dovrà attrarre compratori per titoli pubblici per 415 miliardi; nel prossimo biennio il Tesoro dovrà rinnovare circa un terzo dei 2.850 miliardi di debito che gravano sulle sorti dell’economia del Bel Paese limitando in maniera sostanziale la possibilità di finanziare investimenti e spesa sociale. Una sfida improba perché, come abbiamo visto, i tassi reali continuano a puntare verso l’alto. A complicare le cose, per paradosso, contribuisce poi il calo dell’inflazione che comporta l’aumento reale del debito. Per lungo tempo, tra l’altro, perché la duration media delle emissioni è tra i cinque e i sette anni.



Per fronteggiare la valanga il Governo punta a sfruttare il tesoretto in mano alle famiglie e alle istituzioni. Di qui le emissioni dei Btp Valore e il costante pressing sulle banche e sulle capitali del risparmio gestito che, si insiste, devono restare in mano italiana. Un’arma a doppio taglio perché aumenta il potere delle banche. Non è certo per caso che la forbice tra tassi attivi e passivi, la vera ragione del boom del settore in Borsa, è in Italia più alta che altrove. E non è un caso che l’offensiva per far pagare gli extraprofitti al sistema si sia risolta in un clamoroso flop: lo Stato debitore è più debole della controparte.

Ad approfittarne, poi, sono stati più che altro gli investitori stranieri che hanno puntato sul recupero dei titoli delle banche italiane. Un segnale di fiducia per il made in Italy? Mica tanto se si guarda all’andamento dello spread, poco sotto i 200 punti, molto più alto della Grecia che in questi mesi ha effettuato un formidabile recupero di credibilità della finanza pubblica. Altri segnali confermano che l’appeal delle proposte italiane in materia di investimento non godono oggi di grande apprezzamento: gli investimenti negli Etf Italia di BlackRock, nota Reuters, si sono più che dimezzati negli ultimi anni.

Eppure, per tenere i costi del debito sotto controllo, servono più investitori istituzionali e investitori esteri. Ma la premessa essenziale è un quadro di regole comuni che l’Italia più degli altri deve sforzarsi di rispettare.

È questa la cornice in cui si inserisce la partita del Patto di stabilità che a gennaio dovrebbe sostituire le vecchie regoli fiscali sospese per l’emergenza Covid. Una riforma che, sulla scia delle proposte di Draghi e Macron, dovrebbe garantire maggior sostenibilità ai Paesi più indebitati, Italia in testa, offrendo l’occasione per il rientro graduale del debito. Purtroppo, ancor più che in altre occasioni, la trattativa appare difficile, anche per l’astio e le divisioni tra partner che, vista la situazione internazionale, avrebbero mille ragioni per dare prova di coesione. Stupisce in particolare la scelta italiana di giocare contro, rifiutando mediazioni con la Germania ma anche la ratifica del Mes, sottoscritta da tutti gli altri partner. Una scelta kamikaze al grido di “meglio le vecchie regole” che ha dell’autolesionismo. Specie quando si accusa Christine Lagarde di uscire dal proprio ruolo perché la Presidente della Bce ha fatto sapere che, in assenza di accordi, la Bce farà fatica a sostenere i titoli italiani di fronte alla scontata pressione della speculazione internazionale.

È evidente che dietro certe forzature c’è la volontà di spuntare condizioni migliori. Ma il rischio è di finire in un cul de sac senza vie d’uscita, salvo un pesante prezzo in termini di credibilità politica e finanziaria, un lusso che sarebbe bene evitare.

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