La corsa al Quirinale ha distolto l’attenzione dai mercati finanziari che in settimana hanno vissuto una svolta cruciale, destinata a segnare non solo l’anno borsistico (e l’andamento dei risparmi), ma anche a influire sul futuro politico del Bel Paese, reduce da un 2021 eccezionalmente positivo (crescita +6,5%). Probabilmente irripetibile. Ma andiamo con ordine.



La svolta, peraltro prevista, l’ha imposta la Federal Reserve, ribaltando la tesi sulla natura dell’inflazione: non più fenomeno “transitorio”, connesso ai guasti della pandemia come predicato fino a novembre, bensì pericolo numero uno per la crescita e il mercato del lavoro da sconfiggere con una raffica di aumenti del costo del denaro, 3/4 o anche più nel 2022, più altri tre l’anno prossimo. La decisione ha provocato una brusca caduta dei titoli tecnologici, ma si è presto diffusa al resto del listino. 



Non è affatto detto, a giudicare dai precedenti, che il cambio di rotta significhi la fine dei rialzi di Borsa. Nei grandi cicli di rialzo dei tassi degli anni Novanta, Duemila e Dieci, le borse, dopo il primo rialzo, hanno continuato a salire per almeno sei anni. In due dei tre i casi c’è stato un anno di intervallo a metà del ciclo espansivo (1994-1995, 2015-2016), con una correzione di borsa di alcuni mesi, fastidiosa ma non drammatica, e poi il rialzo azionario è ripreso. È evidente, però, che segnala un cambio di passo nelle priorità politiche dell’Amministrazione. 

L’inflazione dei mesi scorsi è senz’altro stata il frutto di uno shock dell’offerta: l’aumento dei costi dell’energia combinato con le strozzature della logistica si sono tradotte in aumento dei prezzi oltre che in scarsità. Il problema, semmai, è stabilire se il fenomeno tende a rientrare nel giro di pochi mesi oppure si traduce in qualcosa di più strutturale. Buona la seconda, dicono i banchieri della Fed a fronte dell’aumento del petrolio, in parte provocato dal calo degli investimenti delle Big Oil. Ma anche dal pieno impiego raggiunto con una politica apertamente espansiva che ora è messa a rischio dall’inflazione. Un pericolo da sgominare in tempi brevi per arrivare alle elezioni di novembre senza che le tensioni sui prezzi annullino i benefici della ripresa. Di qui l’accelerazione della Fed sui tassi, coincisa non a caso con l’ingresso in banca di tre membri del board di sicura fede democratica.



Sarà molto difficile per l’Europa ignorare l’orientamento Usa che già si fa sentire sull’euro. Ma una buona parte della Bce, a partire dalla presente francese Christine Lagarde, non vuol sentir parlare per quest’anno di aumenti del costo del denaro. Al contrario dei Paesi del Nord, a partire dalla Germania. La tesi dell’inflazione “transitoria” vacilla perché, come ha sottolineato il membro tedesco Isabel Schnabel, non mancano gli elementi strutturali che spiegano l’aumento dei prezzi di lunga durata. A partire dalla rivoluzione verde: come trovare i soldi per le rinnovabili e la lotta al cambiamento climatico senza remunerare i capitali che dovranno sostenere il cambiamento? Com’è possibile conciliare gli investimenti nell’idrogeno piuttosto che la rinuncia al gas russo senza far ricorso a rendimenti in grado di attirare i capitali? Di sicuro quest’esigenza non si concilia con l’anomala situazione di oggi: rendimenti attorno allo zero contro un’inflazione superiore al 5%,

Certo, è possibile che la situazione cambi in primavera, grazie al clima più tiepido e a una soluzione della crisi Ucraina. O, ancor di più con l’uscita da Omicron. Ma se non andasse così? Riuscirà l’asse Francia-Italia, quello che ha tratto o maggiori benefici in termini di crescita, a impedire la svolta? Ovvero a modificare le regole del Patto di stabilità in modo da non strozzare la ripresa dell’Europa mediterranea? Non è escluso, a patto che non vadano sprecati i fondi europei stanziati con il Next Generation Ue e si trovi un accordo sulla gestione del debito esistente.

Sarà questa, in un clima di tassi meno morbidi, la vera partita del 2022, anno partito in salita come ha fatto notare Daniel Gros. L’economista del Ceps ha detto: “Fuori dai denti, l’impressione è che Draghi, spinto dall’angoscia di un Paese che vive la tragedia del Covid, abbia puntato su una ricerca di consensi generalizzata non per motivi elettoralistici, ma per il desiderio di tenere sotto controllo la situazione. Il problema è che i nodi stanno per venire al pettine”.

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